Un secolo e mezzo di incorreggibile questione meridionale
Le modalità del processo di unificazione, così come quelle antifederaliste sempre adottate in seguito, hanno acuito il divario tra Nord e Sud anziché colmarlo
Esiste da sempre una “questione meridionale”, che ha creato un mucchio di problemi alla crescita dell’Italia e al suo divenire un Paese normale: va detto e ribadito che, in realtà, l’Italia un Paese normale non lo è mai stato.
Ciò per molte ragioni. Tra queste, certo non ultima è proprio la palmare differenza tra Nord e Sud: differenza economica, sociale, antropologica.
In un’ottica di rispetto delle istanze di tutti coloro i quali concorrano a formare uno Stato, queste enormi differenze avrebbero dovuto essere debitamente considerate, soppesate e trasformate in una flessibilità fatta di regole adatte ad ognuno.
Centosessant’anni di Italia, nemmeno uno di federalismo…
Serve uno “sviluppo separato” per agevolare un po’ tutti?
In altre parole, uno Stato federale avrebbe tenuto conto delle diverse necessità di una regione sviluppata industrialmente, liberista e a forte fiscalizzazione, rispetto a un’altra regione dedita prevalentemente all’agricoltura, protezionista e con una pressione fiscale pressoché inesistente.
E avrebbe permesso a entrambe di crescere e svilupparsi secondo le proprie abitudini, cercando, col tempo, di smussare gli spigoli, di avvicinare i popoli e, soprattutto, di armonizzarne la crescita economica.
Invece, è stato fatto l’esatto contrario: uno Stato centralista e centralizzatore ha inanellato un’interminabile serie di iniziative che, nominalmente, avrebbero dovuto aiutare lo sviluppo del Mezzogiorno, ma che, in realtà, hanno fallito miseramente il compito, dissanguando, per soprammercato le pubbliche finanze, in uno sperpero ultracentenario di denaro e risorse.
Quella Confederazione Italiana nata e sepolta a Zurigo
Dai beni della Manomorta al nuovo reddito di cittadinanza
Dai beni della Manomorta alle cattedrali nel deserto, dalla Cassa per il Mezzogiorno al reddito di cittadinanza, è stata soltanto una sequenza di fallimenti e di sprechi.
Così, il Sud è rimasto arretrato da un punto di vista infrastrutturale, non ha sviluppato la propria formidabile vocazione agricola e turistica e ha elaborato una visione assistenzialista della politica, mentre il Nord è stato frenato nella sua impetuosa crescita economica da una palla al piede ingombrante e inutile sul piano della solidarietà nazionale.
Accordo preliminare tra il Governo e la Regione Emilia-Romagna
Accordo preliminare tra il Governo e la Regione Lombardia
Accordo preliminare tra il Governo e la Regione Veneto
Questo, non solo non ha permesso al Paese di realizzarsi appieno sul piano civile, politico ed economico, ma ha anche favorito l’insorgere e il mantenersi di pregiudizi, incomprensioni e vere e proprie fronde, tra le due parti dell’Italia.
Insomma, l’Italia non è più unita oggi di quanto non lo fosse all’immediato indomani della spedizione dei Mille: le incomprensioni e l’ignoranza reciproca tra Nord e Sud, mercé questo sciagurato sistema monolitico e centralista, sono, semmai, aumentate.
Non mi riferisco alle ridicole boutades dei cosiddetti “neoborbonici”, cui ha risposto benissimo, in un libro di una decina d’anni fa, il mio illustre collega Alessandro Barbero: parlo del sentimento comune della gente.
In Italia la crisi ha colpito soprattutto l’economia del Sud
Una “famiglia” i cui membri son sospettosi l’uno dell’altro
Di gente che, in fondo, non si sente parte di un’unica famiglia e osserva i propri dirimpettai con un misto di ansia e sospetto, temendo qualche fregatura. Questo non è far parte di una Patria: questo è, anzi, il fallimento della Patria.
E mi sento di dire che una buona parte della colpa di questo fenomeno sia da attribuire proprio alle modalità con cui questa Patria è stata costruita: col consenso e il contributo di esigue minoranze, con plebisciti in cui votava meno del 2 per cento della popolazione, con criteri da conquista coloniale e non da fondazione di una comunità statale.
Di nuovo, perciò, mi tocca di dire che il federalismo è stato l’ingrediente mancante, nella ricetta dell’unità d’Italia. Ed è una mancanza che paghiamo ancora tutti, Nord e Sud.
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