La situazione pre-unitaria vista dalla satira ottocentesca, attraverso “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni: Napoleone III è, nascosto, nei panni di Don Rodrigo, Don Abbondio è Cavour e Renzo Tramaglino il Piemonte, dotato di stemma sabaudo, ansioso di maritarsi con una Lucia Mondella che incarna l’Italia turrita.

Centosessant’anni di Italia, nemmeno uno di federalismo…

Il 17 marzo 1861 “l’espressione geografica” di Metternich si trasformò in uno Stato unitario, smarrendo l’idea confederale accarezzata da Cattaneo e Manzoni

Durante quel complesso periodo storico che viene, un po’ impropriamente, definito “Risorgimento”, furono espresse, da voci illustri della cultura, numerose profezie sull’unità nazionale italiana.

In realtà, probabilmente, sarebbe più opportuno parlare di “Risorgimenti”, data la pluralità e la diversità delle visioni geopolitiche che caratterizzarono questo fenomeno storico.

Va da sé che, nella odierna lettura del processo di unificazione, tra queste profezie, prevalga di gran lunga quella manzoniana.

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L’Europa dei piccoli Stati e un federalismo appena abbozzato…

Questo, d’altronde, accade anche nell’indirizzo linguistico, fin dal congresso senese degli scienziati, del 1862, che segnò il tramonto definitivo della visione linguistica municipale, pure assai in voga nella prima metà del secolo XIX.

Dunque, la struttura dell’Italia di là da venire fu preconizzata dallo scrittore lombardo in “Marzo 1821” e fu, fin dall’inizio, per così dire, sabauda. L’inizio del processo unitario, avrebbe dovuto essere piemontese, come, in effetti, accadde, anche se, forse, non esattamente nei termini auspicati dal Manzoni.

Un piatto commemorativo dell'Armistizio di Villafranca
Un piatto commemorativo dell’Armistizio di Villafranca

Carlo Alberto re sì, però di tre regni federati tra loro

Carlo Alberto, allora semplice erede al trono, avrebbe dovuto diventare il capofila di una confederazione italica, basata sulla arcinota teoria dei tre regni, e guidare una progressiva cacciata degli Asburgo dal centronord. In questo, nei piani dei vari leader settari, avrebbe dovuto essere aiutato dagli altri dinasti italiani, napoletani in testa.

Perfino Manzoni, dunque, ossia quello che, poi, divenne, volontariamente o meno, uno dei simboli del centralismo sabaudo, nel 1821, nonostante le apparenze, non avrebbe potuto immaginare l’Italia altro che una federazione di principati.

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D’altra parte, troppe e clamorose erano le differenze tra i vari stati preunitari per non pensarla a questo modo e la concatenazione di eventi, che portarono a quel fatidico 17 marzo del 1861, era allora completamente impensabile.

Certo, Manzoni proclamava di volere una sola Italia… “d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor”. Ma, evidentemente, si trattava di una visione letteraria e onirica, giacché gli Stati preunitari erano assai diversi per usi militari, per lingua, per manifestazioni religiose, per tradizione e storia, per stirpe e perfino per sentimenti.

Quel pragmatismo “dimenticato” di Carlo Cattaneo

Molto più realistica, per restare in ambito meneghino, fu la visione di Carlo Cattaneo, il grande dimenticato del nostro Risorgimento, condannato all’oblio dalla scomodità delle sue idee sul destino federale dell’Italia. L’intellettuale milanese aveva un nobilissimo senso della Patria, ma era anche un intellettuale coi piedi per terra: cosa tanto rara alle nostre latitudini.

Ma, venendo all’oggi, che cosa è cambiato e che cosa, viceversa, resta attuale, di quelle idee e di quelle diverse versioni circa la nostra unità nazionale? Verrebbe da dire che quel fattore onirico, di cui abbiamo detto, sopravviva decisamente all’usura del tempo: in fondo, l’immagine della comunità nazionale che viene perpetuata è ancora quella del Manzoni. Con i dovuti aggiustamenti.

La Confederazione di Stati Italiani ipotizzata da Napoleone III, Imperatore dei Francesi, e Camillo Benso di Cavour, Primo Ministro del Regno di Sardegna, negli Accordi di Plombierès del 1858
La Confederazione di Stati Italiani ipotizzata da Napoleone III, Imperatore dei Francesi, e Camillo Benso di Cavour, Primo Ministro del Regno di Sardegna, negli Accordi di Plombierès del 1858

Incolmabile distanza antropologica fra nord e sud?

Eppure, nemmeno oggi quei parametri paiono realistici: vi sono ancora enormi differenze di tipo culturale, tradizionale e, verrebbe da dire, antropologico tra il nord e il sud del Paese. E questo non sarebbe necessariamente un male, se, anziché pretenderne la cancellazione, in una sorta di inspiegabile pot-pourri centralistico, le prerogative dei singoli territori venissero rispettate e valorizzate.

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Questo pensava, ab origine, la maggior parte degli intellettuali preunitari: Cattaneo in testa. Un’idea di pluralità e di diversità che si unissero in una dimensione pattizia dello Stato. Uno Stato che rispettasse le prerogative e le peculiarità di tutti. Come conciliare, altrimenti, la fiscalizzazione piemontese e l’assenza quasi assoluta di fiscalità borbonica? Come associare protezionismi e liberismi, paternalismo e libera intrapresa?

Incontro tra Napoleone III e Francesco Giuseppe a Villafranca
Incontro tra Napoleone III e Francesco Giuseppe a Villafranca

Regno di Sardegna paradigma per tutti oppure no?

Evidentemente, due sole erano le vie perseguibili: una, la peggiore, era quella di un’estensione coatta delle regole e del sistema del Regno di Sardegna a tutte le altre realtà statali della Penisola, in pratica operando una specie di conquista coloniale o, se si preferisce, di allargamento dei confini sabaudi, di stampo settecentesco.

L’altra, col senno di poi assai meno traumatica e, in prospettiva, molto più moderna ed efficace, sarebbe stata quella di un esteso federalismo, basato su una grande autonomia tra federati e sul mantenimento di gran parte delle prerogative degli stati preunitari.

Accordo preliminare tra il Governo e la Regione Emilia-Romagna
Accordo preliminare tra il Governo e la Regione Lombardia
Accordo preliminare tra il Governo e la Regione Veneto

In questo modo, oggi, l’Italia sarebbe un esempio virtuoso da proporre come modello per la trasformazione dell’Unione Europea negli Stati Uniti d’Europa: viceversa, ci troviamo a essere uno dei fanalini di coda nel processo di unificazione continentale, esattamente come fummo retrogradi in quello nazionale.

È vero che la storia insegna: ma è altrettanto vero che la sua lezione ha un impatto pressoché nullo, se non c’è nessuno disposto ad ascoltarla e a farne tesoro.

I “Risorgimenti” nelle esigenze e tradizioni di tutti

Dunque, l’impegno per questa ricorrenza della proclamazione del Regno d’Italia dovrebbe essere quello di rileggere i Risorgimenti alla luce delle differenti visioni preunitarie, fare un bilancio sereno e oggettivo di questi 160 anni di unità e, nel caso ripensare i termini di questa nostra complicata convivenza.

Abbandonando, soprattutto, l’idea di un’autonomia e di un federalismo che siano semplicemente un decentramento, introducendo, invece, la visione di Cattaneo e degli altri grandi federalisti risorgimentali: quella di uno Stato che rispetti le esigenze e le tradizioni di tutti. Uno e plurimo.

Riferimenti:

“Il pensiero politico di Carlo Cattaneo” (L’Opinione delle Libertà)
Cattaneo, Carlo in “Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia” (treccani.it)
“Linguaggio e ideologia: la posizione di Carlo Cattaneo” (Dialoghi Mediterranei) 
I congressi dei naturalisti italiani fra scienza e politica. Per i 150 anni dell’Unità d’Italia (Museo Galileo) 

L’ingresso a cavallo di Napoleone III, Imperatore dei Francesi, e di Vittorio Emanuele II di Savoia, Re di Sardegna, nella ex città austriaca di Milano l’8 giugno del 1859 (Affresco: Wolfgang Sauber)
L’ingresso a cavallo di Napoleone III, Imperatore dei Francesi, e di Vittorio Emanuele II di Savoia, Re di Sardegna, nella ex città austriaca di Milano l’8 giugno del 1859 (Affresco: Wolfgang Sauber)

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