Sud Tirolo, storia di una piccola patria eternamente invitta
Viaggio nella Provincia Autonoma di Bolzano nel sessagesimo della “Notte dei Fuochi”, sul filo della sempre ostica convivenza fra le etnie tedesca e italiana
Una ripida parete di roccia grigia interrompe il verde dei boschi scoscesi che la circondano e che ricoprono il resto della cima del Burgstall-Eck. Da questo monte, a circa mille metri di altitudine, si guarda la Val d’Adige (Etschtal). In basso, il fiume taglia la valle e scorre verso sud attraversando vigneti, piantagioni di mele e villaggi con chiese e case dai tetti a punta, in stile asburgico. Infine, confluisce all’orizzonte a Bolzano, tra i palazzi quadrati in pietra chiara costruiti durante il periodo fascista.
Il monte segna un confine, seppure non politico. Sul lato opposto iniziano le valli trentine che marcano la fine dello spazio linguistico e culturale germanico. Laddove inizia il Trentino, finisce il Sud Tirolo e comincia l’Italia, dicono molti abitanti della Val d’Adige, che quasi tutti si considerano sudtirolesi di cultura e lingua tedesca e non italiani. Pur essendo italiani di passaporto.
Cinquemila attivisti degli Schützen, suddivisi in 140 compagnie
Sulla parete rocciosa siede Hannes Unterkofler. Il trentasettenne di Andriano, paese della valle, lavora a Bolzano come professionista, ma soprattutto è il referente locale degli Schützen, un’organizzazione diffusa in tutto lo spazio germanofono dedita alla difesa e alla preservazione della propria cultura. Soltanto nel Sud Tirolo conta 5.000 attivisti, suddivisi in 140 compagnie.
“Per noi sudtirolesi è più facile dichiarare di amare la nostra patria (Heimatliebe) rispetto ai tedeschi della Repubblica Federale”, spiega, “durante il nazismo eravamo già stati annessi all’Italia e pertanto non ci sentiamo direttamente colpevoli per i crimini nazisti. Tra noi è molto meno sentito il senso di colpa e di rifiuto per la nostra storia che invece hanno i tedeschi dell’Ovest (Wessis). Inoltre le persecuzioni che abbiamo subìto durante e dopo il fascismo sono ancora presenti nei ricordi delle nostre famiglie. Sentiamo ancora molto l’importanza di tramandare ciò che ci è stato lasciato dai nostri antenati”.
Ceppo germanico “autonomo” infulcrato fra Trentino e Austria
Storicamente le popolazioni di lingua e cultura tedesca hanno vissuto sparse per tutta l’Europa centrale e orientale, dall’Alsazia al Volga. Nel corso dei secoli ognuno di questi ceppi germanici ha sviluppato un forte radicamento territoriale, definito come Heimat, integrato in un generico senso di appartenenza alla più ampia comunità linguistica e etno-culturale tedesca, chiamata Vaterland.
Gli orrori del nazionalsocialismo compiuti in nome della germanicità hanno in parte affievolito l’identità nel Vaterland, molto meno nelle Heimat. Soprattutto nel Sud Tirolo, la cui storia si differenza da quella degli altri ceppi soprattutto in relazione ai propri rapporti con l’Italia. Per secoli questa regione è appartenuta all’impero asburgico.
Quando con la fine della Prima Guerra Mondiale venne annessa all’Italia, la popolazione era prevalentemente tedesca (89 per cento) con minoranze ladine (3,8 per cento) e italiane (2,9 per cento). L’annessione segnò l’inizio di una politica di italianizzazione da parte del regime fascista che proibì l’insegnamento del tedesco (tranne nel catechismo), i partiti e i giornali tedeschi e l’utilizzo del nome “Südtirol”. L’italiano venne imposto come unica lingua ufficiale, la toponomastica e molti cognomi italianizzati. A Bolzano e Merano vennero abbattuti diversi monumenti di poeti e letterati di lingua tedesca a favore della costruzione di nuovi quartieri urbani, destinati ad accogliere migliaia di immigrati italiani.
L’immigrazione di massa continuò anche dopo la fine del fascismo, alimentando le spinte secessionistiche della popolazione tedesca nonostante molte misure fasciste fossero state formalmente abolite. Gli anni Quaranta e Cinquanta videro l’affermazione di partiti e movimenti indipendentisti o autonomisti come la Südtiroler Volksapartei (SVP), che raccolse in sé tutti i movimenti politici tedeschi sudtirolesi. Ma anche di gruppi armati come la Befreiungsausschuss Südtirol (BAS), che attaccò lo Stato italiano con attentati dinamitardi e incendiari. È passata alla storia la “Notte dei Fuochi” (“Feuernacht”) del 1961 quando la BAS fece saltare in aria 49 tralicci dell’elettricità. Nel 1969 lo Stato italiano e la SVP raggiunsero finalmente un accordo: i tedeschi accettavano di rimanere dentro l’Italia in cambio di una forte autonomia linguistica, culturale, fiscale e politica attraverso l’istituzione della Provincia Autonoma di Bolzano.
Fuochi sacri sui monti in risposta alla violazione della Heimat
Il ricordo della “Feuernacht” è ancora fortemente presente nei tedeschi del Sud Tirolo. Essa si riallaccia simbolicamente a una tradizione molto più antica, che risale alle invasioni napoleoniche di inizio 1800. Quando i francesi invasero i territori abitati da tedeschi, tra cui il Tirolo, essi vennero percepiti come portatori degli ideali della rivoluzione francese, ovvero illuminismo e laicismo.
Nacquero quindi in tutti i ceppi germanici dei movimenti di resistenza ispirati a ideali romantici e anti-illuministi, che furono il cemento ideale per la fondazione del Reich bismarckiano nel 1870. In Tirolo le autorità religiose invitarono il popolo a salire sui monti, appiccare il fuoco e prestare giuramento a Cristo e alla patria (Heimat), rifiutando la dominazione straniera. Da allora i sudtirolesi salgono sui monti tutti gli anni nella prima domenica dopo Pentecoste e appiccano il fuoco che simboleggia il rinnovamento del giuramento.
Non fu un caso che la BAS compì i propri attacchi proprio in questa data, segnando una continuità simbolica tra la propria causa e quella antinapoleonica, mito fondante della Germania moderna.
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In alto la sagoma di un’enorme aquila, alimentata dalle fiamme
Sulla parete rocciosa su cui siede Hannes Unterkofler si arrampicano diversi ragazzi armati di taniche di benzina e fiaccole che dispongono in posti strategici tra i massi. Oggi si celebra la “Feuernacht” e quando farà notte le fiaccole accese disegneranno nel buio la sagoma di un’enorme aquila tirolese, che si vedrà da tutta la valle. Ogni villaggio appiccherà un proprio fuoco su un monte diverso. Sul Burgstall-Eck sono saliti oggi gli abitanti di Andriano. Tanti ragazzi ma anche bambini e neonati spesso in braccio ai genitori e anziani attaccati al braccio di un figlio o un nipote.
“Non è un gesto politico”, spiega Unterkofer, “ma un momento di tradizione e di rinnovata unità tra tutti i tirolesi”. Appena cala il buio, tutti i monti che guardano sulla valle si illuminano di decine di luci, alcune piccole, altre grandi che formano disegni: aquile, croci, cuori.
Intorno alla “Feurnacht” lotta per l’interpretazione dei fatti
Nonostante sia un momento formalmente apolitico, la “Feurnacht” del 2021 sta monopolizzando il dibattito politico locale.
“A sessant’anni dagli attentati sia i tedeschi che gli italiani della provincia si interrogano sul valore di quei gesti, dandosi risposte molto diverse”, spiega Andrea Di Michele, professore di storia contemporanea all’università di Bolzano, “per alcuni tedeschi è stato un atto necessario, per altri ha invece rallentato il processo verso l’autonomia. Per molti italiani è stato invece puro terrorismo. A prescindere dall’appartenenza linguistica non esiste un’interpretazione condivisa sulla storia di questa regione”.
Recentemente la SVP ha proposto l’istituzione di una commissione di ricerca e analisi per formare un’interpretazione storica ed una coscienza condivisa. Ci si chiede, inoltre, se esista un minimo comune denominatore identitario, che possa unire tutti i cittadini altoatesini/sudtirolesi a prescindere dall’appartenenza etno-linguistica.
#AltoAdige, accordo di governo tra @SVP_Suedtirol e Lega: la presa di posizione del Presidente @fgiudiceandrea : “Le nostre priorità sono #Europa, #autonomia, #giovani e #industria – su questi punti siamo pronti a dare il nostro contributo costruttivo”
➡️https://t.co/sBCnIJ9R63 pic.twitter.com/1c6BRsbSRE— UVS Assoimprenditori (@uvs_assoim) January 8, 2019
Oggi il 69,4 per cento della popolazione della provincia di Bolzano è di lingua ed etnia tedesca, i ladini sono il 4,5 per cento, gli italiani il 26 per cento, concentrati soprattutto nei centri urbani di Bolzano e Merano. La politica locale è fortemente nelle mani della SVP, che governa ininterrottamente dal Dopoguerra e che esprime oggi il 41 per cento dei consensi. Lo statuto d’autonomia prevede che il governo provinciale sia composto da partiti espressione sia del gruppo tedesco che di quello italiano. La stabile egemonia della SVP sul lato tedesco l’ha spinta a trovarsi di volta in volta alleati italiani di comodo, generalmente molto più deboli e subalterni. Dopo una lunga alleanza con il PD, dal 2018 è alleata con la Lega (11,1 per cento), il primo partito italiano seguito dai democratici (3,8 per cento) e da Fratelli d’Italia (1,7 per cento).
Die Freiheitlichen e Süd-Tiroler Freiheit attorno al 6 per cento
Sul fronte tedesco, i due altri partiti significativi che siedono nel parlamento locale sono Die Freiheitlichen (6,2 per cento), espressione sudtirolese della destra austriaca della FPÖ, e gli indipendentisti della Süd-Tiroler Freiheit (6 per cento). Esponenti di punta di tutti i partiti tedeschi erano quest’anno presenti a Frangarto, paese alle porte di Bolzano, dove il giorno prima della “Feuernacht” si è tenuta una manifestazione degli Schützen in onore dei combattenti per la libertà (Freiheitskämpfer) della BAS, che gli italiani spesso chiamano terroristi. Centinaia di persone in divisa tirolese marciano inquadrati per le strade del paese, le donne con abiti colorati e lunghe gonne, gli uomini con pantaloni corti di cuoio, calze di lana bianche alzate fino alle ginocchia, cappelli piumati e giacche spesso ornate di medaglie. Alcuni hanno una spada legata alla vita, altri impugnano lunghi fucili, che al segnale stabilito puntano al cielo per sparare un colpo all’unisono.
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Sven Knoll: “Scelta fra ritorno all’Austria, indipendenza o Italia”
Giunti di fronte alla targa commemorativa di Sepp Kerschbauer, uno dei fondatori della BAS, nativo di questo paese, si fermano e restando inquadrati celebrano la messa. Alla lettura del vangelo sale sull’altare Eva Klotz, figlia di Georg, l’ideatore dell’esplosione dei tralicci del 1961. A lungo parlamentare in provincia per la Süd-Tiroler Freiheit, oggi si è ritirata dalla politica istituzionale lasciando spazio al suo delfino Sven Knoll, anche lui in prima linea alla manifestazione vestito con la divisa degli Schützen. Classe 1980, discende da una famiglia di Ostvertriebene tedeschi, che durante la Seconda Guerra Mondiale dovettero fuggire dalla degermanizzazione della Slesia (oggi parte della Polonia) ed esprime in parlamento la linea separatista più decisa.
“Chiediamo un referendum attraverso cui i sudtirolesi decidano se restare dentro l’Italia o diventare indipendenti oppure se riunificarci con l’Austria, cosa che per me è la soluzione migliore” spiega.
Italien plant, Tausenden Carabinieri, Finanzern, Militärs sowie deren Angehörigen das Wahlrecht in Süd-Tirol zu geben, auch wenn sie keinen fixen Wohnsitz hier haben. Das würde die Wahlergebnisse massiv verfälschen und muss verhindert werden!https://t.co/L2PRnPGfV8
— Süd-Tiroler Freiheit (@tirolerfreiheit) June 18, 2021
La Süd-Tiroler Freiheit fa più di tutti leva sulla questione etno-identitaria: tra le sue richieste ci sono la difesa della toponomastica tedesca, l’utilizzo del tedesco da parte dei dipendenti pubblici, la rimozione degli edifici e dei simboli fascisti, la concessione della nazionalità austriaca ai sudtirolesi di lingua tedesca.
Knoll si rende conto di potere esprimere con libertà concetti che in Germania verrebbero stigmatizzati dalla stampa come di estrema destra.
“Riceviamo spesso delle delegazioni parlamentari dei Länder tedeschi”, racconta, “e molti loro esponenti rimangono positivamente impressionati per il fatto che qui possiamo esprimerci in maniera libera e positiva nei confronti della nostra identità austriaca. Nella Germania di oggi per me è molto difficile soltanto raccontare la storia della fuga della mia famiglia dalla Slesia perché certi avvenimenti storici sono diventati tabù”.
Die Freiheitlichen: “La Svizzera è ciò che dobbiamo raggiungere”
Presente a Frangarto, anche lui con l’uniforme degli Schützen, c’è Andreas Leiter Reber, capogruppo al parlamento provinciale per Die Freiheitlichen. Il suo partito non chiede la secessione ma il rafforzamento dell’autonomia tramite lo sviluppo di una forte identità sudtirolese.
“La Svizzera è ciò che dobbiamo raggiungere”, dice il trentanovenne, “dobbiamo identificarci innanzitutto come sudtirolesi prima che come appartenenti al gruppo linguistico”.
Per Leiter Reber non si possono cancellare gli ultimi cento anni di storia che differenziano il carattere del Sud Tirolo da quello degli atri ceppi germanici. “Solo da noi si parlano tre lingue”, conclude.
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Lo storico: “Sta crescendo un’identità sudtirolese specifica…”
Secondo lo storico Di Michele, questa visione è in crescita tra i cittadini. “Negli ultimi decenni stiamo assistendo ad un lento ma progressivo sviluppo di un’identità sudtirolese/altoatesina specifica”, spiega. “Soprattutto tra i tedeschi”.
E ancora: “Ciò deriva dalla narrazione della storia sudtirolese come un successo: ovvero quella di un popolo che non si è piegato alla colonizzazione, ha conquistato un’autonomia, incrementato la ricchezza e difeso la propria lingua e cultura. Ciò si stacca dalla storia dell’Austria”.
Queste posizioni sono diffuse in importanti correnti della SVP che esprime “una forte classe dirigente che controlla le leve dell’amministrazione e della borsa”. Per questo, molti di loro pensano che lasciare l’Italia porterebbe più svantaggi che vantaggi.
Italofoni e germanofoni uniti dal comune, reciproco vittimismo
La definizione identitaria sia per i tedeschi che per gli italiani di questa regione si fonda su una visione vittimistica. Continua Andrea Di Michele: ”La narrazione dei tedeschi si basa sul ricordo delle oppressioni subite per mano italiana, cosa che nasconde una certa responsabilità: ovvero le attività collaborazioniste dei sudtirolesi durante l’occupazione nazista tra il 1943 e il 1945 e le persecuzioni degli ebrei di queste parti”.
Da parte italiana il vittimismo invece poggia principalmente su due fattori: l’epurazione dell’apparato amministrativo fascista da parte della Wehrmacht e dei suoi sodali sudtirolesi nel 1943, cosa che permette alla destra nazionalista e neofascista di rivendicare una radice antinazista quindi una legittimità; il diffuso senso di inferiorità degli italiani di fronte all’egemonia tedesca nella gestione del potere politico e economico.
La minoranza italiana separata non soltanto dal fiume Talvera
Bolzano è una città architettonicamente divisa. I palazzi asburgici della città vecchia si fermano sulla sponda orientale del Talvera; dall’altra parte iniziano i quartieri italiani, che recano l’impronta dell’edilizia fascista e di quella popolare degli Anni 50 e 60. Appena superato il torrente, ci si imbatte nel Monumento alla vittoria, un imponente arco di pietra bianca ricoperto di fasci littori. Il regime fascista non voleva soltanto creare quartieri destinati ad accogliere l’immigrazione italiana, ma anche conquistare Bolzano architettonicamente con le proprie costruzioni e i propri simboli. Dal monumento della vittoria parte il quartiere Gries-San Quirino: imponenti palazzi rettangolari di pietra chiara, ampie strade, archi, torri rettangolari. In pochi minuti si arriva all’ex casa littoria sulla cui facciata è ben visibile un bassorilievo di Benito Mussolini che fa il saluto romano.
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Le bombe degli Anni 80 e la conflittualità latente fra due fazioni
Camminando per queste strade si nota subito come qui nessuno usi il tedesco e come la società sia diversa dal resto della provincia. “Da ragazzini ci definivamo quasi tutti come fascisti”, racconta Alessandro, nato a Bolzano nel 1977 da famiglia di origine trentina, veneta, lombarda e calabrese che è qui da tre generazioni. “Essere fascisti era un fattore estetico ma anche un senso di protezione. Ricordo da bambino le ripetute evacuazioni da scuola a causa delle minacce dei terroristi tedeschi di fare esplodere delle bombe. Ricordo le finestre di casa rotte a seguito dell’esplosione di una di queste bombe a due isolati di distanza. Con i ragazzini tedeschi spesso ci picchiavamo e ci tiravamo le pietre. Oggi la situazione è molto cambiata grazie al benessere economico, ma in caso questo venisse a meno le tensioni potrebbero riesplodere velocemente”.
#MdT 25/06/1967 – Cima Vallona. Attentato terroristico dei separatisti sudtirolesi del Befreiungsausschuss Südtirol pic.twitter.com/ah1sIg1RCY
— Johannes Bückler (@JohannesBuckler) June 25, 2015
Le bombe cui si riferisce furono piazzate negli anni Ottanta dal gruppo terroristico Ein Tirol, nello stesso periodo vennero compiuti attentati da altri due gruppi terroristici italiani: il Movimento Italiano Alto Adige e l’Associazione Protezione Italiani.
Questo contesto spiega come mai la destra neofascista abbia sempre avuto un buon seguito tra gli italiani dell’Alto Adige. Fino al suo scioglimento, il Movimento Sociale Italiano è stato lungamente il primo partito italiano nella città di Bolzano dove nel 2016 sono stati eletti tre consiglieri comunali di Casapound, recentemente però non confermati. Secondo Alessandro, ciò va inquadrato nel fatto che gli italiani di Bolzano si differenzino dal resto dei connazionali soprattutto “per il ricordo della stagione delle bombe e della convivenza con un’altra popolazione percepita come ostile”.
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Una fetta d’Italia senza tradizioni, costumi o dialetti del territorio
Secondo molte persone con cui si parla non è facile essere italiani in questa regione. “Siamo figli dell’italianizzazione”, dicono, “non abbiamo un dialetto, costumi o tradizioni specifiche di questo territorio. È quindi più facile per chi si sente italiano identificarsi in una destra nazionalista piuttosto che in un’identità locale”.
Secondo Filippo Maturi, parlamentare a Roma della Lega nato e cresciuto a Bolzano, gli italiani si sentono cittadini di serie B. Non più tanto per motivi etnici, ma soprattutto economici e sociali.
“La maggior parte dei partiti politici italiani non ha sviluppato una valida classe dirigente a livello locale. Anche se lo statuto d’autonomia garantisce la presenza di partiti italiani nel governo locale, questi rimangono subalterni alla SVP, che invece ha una classe dirigente forte e preparata. Ciò fa sentire gli italiani di essere esclusi dalle leve del potere economico e politico”, dice.
I due nuovi movimenti interetnici: i Verdi e il Team K di ex grillini
Nonostante le divisioni negli ultimi anni si sono affermati alcuni partiti interetnici, ovvero che ambiscono a rappresentare gli elettori a prescindere dalla loro appartenenza etno-linguistica. È il caso dei Verdi (6,8 per cento) e di Team K, movimento fondato da ex attivisti del Movimento 5 Stelle, che alle ultime elezioni provinciali ha preso il 15,2 per cento imponendosi come seconda forza dopo la SVP. Il suo fondatore è Paul Köllensperger, bolzanino perfettamente bilingue. “Sono uscito dal Movimento perché non capiva che questo territorio ha bisogno di programmi specifici che mi permettano di parlare a tutte le componenti linguistiche e non solo agli italiani”, spiega.
Una maggioranza locale, minoritaria in Italia: così la separazione
“Qui l’elettorato difficilmente vota movimenti espressione di altri gruppi linguistici. Il modello dell’Alto Adige si fonda sulla separazione che è funzionale a preservare la componente tedesca, qui maggioritaria, ma minoritaria sul piano nazionale”, continua Köllensperger. Per lui è dunque necessario superare gli steccati etnici attraverso la creazione di scuole trilingue al posto di quelle separate attualmente in vigore.
“Le nuove generazioni sentono molto meno la divisione etnica, tuttavia i tedeschi vanno nelle scuole tedesche e gli italiani in quelle italiane. Ciò rende difficile che si formino delle compagnie di amici miste: la maggior parte dei ragazzi rimane tra gente del proprio gruppo linguistico e frequenta locali di riferimento della propria comunità”.
Soltanto superando questa impostazione, così Paul Köllensperger, sarà possibile sviluppare una vera identità sudtirolese/altoatesina condivisa che superi le divisioni e faccia passare la storia.
Italia, perché l’autonomia differenziata “è” la Costituzione
Secondo me non è del tutto corretto identificare il trentino come puro spartiacque etnico e culturale, anzi, è sbagliato. Il Trentino è quella zona “mista” che fa da cuscinetto tra il mondo germanico e l’Italia, ma non si può definire italiano del tutto. Fino a 2-3 secoli fa in Trentino c’erano ancora numerosi insediamenti tedeschi, più diffusi rispetto a quelli attuali ancora presenti, che andavano dalla Val di Cembra ad Asiago e fino in Veneto. Molti cognomi trentini sono di origine germanica, molte usanze del mondo agricolo e nell’amministrazione pubblica sono ereditate dal mondo tedesco. Anche noi abbiamo subito e sofferto, seppur in maniera minore, la prepotenza fascista del dopoguerra, non fate come i fascisti di allora, che erano convinti fossimo “italianissimi”, non lo siamo e non lo siamo mai stati.
Ma di fatto credo che la maggior parte degli abitanti della penisola italica non si sentano italiani… C’è chi si sente Veneto, Siciliano etc., Al sud molti disprezzano l’unità di italia e rivorrebbero il Regno delle due Sicilie a loro avviso sottrattogli dai Savoia, al nord il sud viene visto da molti come un peso ed i loro abitanti come lazzaroni.
Ci sono anche “marette” tra regioni piu o meno confinanti e addirittura a livello piu locale.
La cosidetta italianità che molti politici vogliono esportare all’estero non esiste o al massimo viene inculcata a chi risiede all’estero da tanti anni (o magari ci è nato).
Il periodo del nazi-fascismo viene usato molto in penisola soprattutto come cavallo di battaglia di molte azioni politiche.
La penisola italica è molto diversa, ogni regione ha una sua storia, cultura, lingua etc.
Per farla andare meglio bisognerebbe fosse gestita come la Confederazione elvetica dove ogni cantone ha le sue regole, lingua, cultura etc. Ma per arrivare a questo punto con tutta la burocrazia della penisola ce vuole!
Gli italiani si sentono tali e sono orgogliosi di esserelo solo durante i mondiali di calcio: Li allora escono fuori bandiere e orgoglio nazionale.
Finiti i mondiali ognuno si sente attaccato alle sue radici vuoi che siano altoatesine o siciliane.
Fanno bene i sudtirolesi ad essere attaccati alle loro tradizioni peraltro molto belle! Peccato che molte altre regioni abbiano perso le loro.
Esatto Hai centrato il punto!