Valeria Cattaneo: “Io a Lugano? Una… sognatrice di marmo!”
La giovane broker lombarda racconta dieci anni di grandi successi e di piccole batoste in Svizzera, con l’onestà tipica di chi ha sempre dato il meglio di sé
A Lugano c’è una giovane donna che piace alla gente che piace.
È una broker assicurativa dal cuore grande e dalla competenza notevole, una professionista “fatta e formata”, temprata dallo spirito sportivo del nuoto che ha praticato sin da ragazzina, nonché animata dall’enorme voglia di migliorare e di svecchiare lo stantio “settore merceologico” nel quale è chiamata ad esercitare la propria attività.
Al servizio del cliente, ovvero “di che cosa hai bisogno?”, come ama dire lei, espertissima di sicurtà e affini.
Valeria Cattaneo ha trentaquattro anni, dieci dei quali trascorsi in riva al Ceresio. Lombarda di Busto Arsizio nonché forte di una laurea in giurisprudenza conseguita con un voto di centodieci e lode alla “Libera Università Carlo Cattaneo” di Castellanza grazie a una tesi dal titolo “La responsabilità degli intermediari finanziari” , ha trovato in Svizzera una seconda patria, se non la prima, e non soltanto per un’omonimia con il grande pensatore federalista che ne ha accompagnato il percorso di studi e di vita.
Prevalentemente in Canton Ticino, benché promossa “consulente finanziario” al termine di un corso frequentato a Zugo, ha lavorato proficuamente, a partire dal giugno 2016, per SwissLife Select, Energy Trading International Swiss, per l’avvocato Andrea Prospero, Corner Banca e per FDL Consulting, sino alla decisione cruciale e determinata di mettersi in proprio nel dicembre 2019.
Oggi molto popolare nel luganese e non soltanto per le sue doti professionali e comunicative, Valeria Cattaneo si racconta a tutto tondo in un’intervista in cui svela chi è e dove dà il meglio di sé.
Esternamente e astrattamente parlando, Valeria Cattaneo sembra assommare in sé molteplici qualità personali: imprenditrice di successo e influencer della piazza luganese. Chi è “veramente”? Come descriverebbe se stessa a chi non avesse già avuto l’opportunità di conoscerla?
“Devo parlare di me in terza persona? Allora, vediamo… Valeria è una grande ‘sognatrice di marmo’. Ha carattere e determinazione. Ha dei valori ben radicati, frutto di qualche sofferenza in eccesso che la vita le ha donato. E grazie a questo è riuscita ad avere un’idea ben chiara di chi voleva assolutamente essere. E di chi sperava di voler diventare giorno dopo giorno”.
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Sul suo biglietto da visita, oltre agli indirizzi degli oggi indispensabili account social media, compare significativamente la dizione “Dr. Iur”, per così dire, “alla tedesca”. Quanto è stata importante per lei la laurea in giurisprudenza, dove l’ha conseguita e perché?
“Alla tedesca mi piace. Trovo i tedeschi un popolo affascinante. La laurea in giurisprudenza è molto importante per me. Ad oggi comprendo bene come l’università sia fondamentale. Non tanto per il titolo o il ‘pezzo di carta’ che ne consegue, ma quanto per l’imprinting che in senso generale ti dà. La laurea è un esercizio alla pazienza e una consapevolezza circa la propria caparbietà. Insomma, è anche un modo per acquisire fiducia in se stessi e la convinzione di avere doti giuste per superare scogli e sfide che poi il lavoro o la vita in generale pone. Non sono mai stata un’amante delle etichette (leggo con piacere solo quelle del vino…) perché ogni essere umano è speciale a suo modo, ma riconosco che un percorso di studi sicuramente agevola il valore della cultura, intesa come conoscenza. E questa ha un ruolo fondamentale: ci rende liberi, ci permette di fare scelte, ci permette di essere coscienti e responsabili di fronte al mondo. Soprattutto per il mondo di oggi. Io ho avuto l’opportunità di frequentare l’università LIUC ‘Carlo Cattaneo’ di Castellanza. Il medesimo cognome è solo un puro caso, nessuna correlazione. Fin da quando ero piccola mi è sempre piaciuta l’idea della ‘paladina della giustizia’, una specie di Sailor Moon con la toga e da lì l’idea di diventare un magistrato. Mi sono iscritta a giurisprudenza, ho terminato il percorso di studi e ora sono un broker assicurativo. Sorgerà spontanea la domanda del perché non faccio l’avvocato? Beh, perché il cambiamento è la chiave vincente”.
Quest’anno lei celebra dieci anni di vita in Svizzera, dove arrivò giovanissima, come capita a numerosi lombardi dell’area di confine della Repubblica Italiana. Quale bilancio fa dei suoi primi due lustri di vita all’estero e che prospettive lavorative e professionali vede qui per l’avvenire?
“Bilancio più che positivo. Mi sono innamorata di Lugano la prima volta che l’ho vista. E come ogni grande amore che si rispetti mi ha regalato gioie e dolori, sorrisi misti a lacrime. Sono stata accolta subito con calore e diffidenza. Mi ritengo fortunata e le sono molto grata. Per quanto riguarda le prospettive lavorative qui in Svizzera o altrove credo che dipenda tutto dall’uomo e dal suo spirito di innovazione, dalla propensione al cambiamento, dall’elasticità e, soprattutto, dalla voglia di lavorare. Mi viene spontaneo pensare che i luoghi di lavoro saranno caratterizzati da una maggiore autonomia: meno attività di routine e maggiori compiti intellettuali. Il fabbisogno di competenze del mercato del lavoro cambierà ancora e saranno richieste nuove skills per far fronte all’evoluzione delle nuove esigenze. Il ritmo dell’innovazione nell’applicazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione accelererà ulteriormente. Questi ultimi richiedono un aumento dei compiti intellettuali e sociali. Questi, a loro volta, richiedono capacità di comunicazione, imprenditorialità e altre competenze chiave in molti settori, come la vendita ad esempio. Se si ha voglia di imparare e rimanere propensi all’evoluzione, credo che le prospettive siano buone”.
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Ritiene che una donna sia trattata diversamente nella Confederazione Elvetica rispetto alla sua patria di origine? Se sì, in che modo? Quale è la ricetta utile a un’imprenditrice perché riesca ad affermarsi nell’uno e nell’altro Paese?
“Tema complicato che merita rispetto e cognizione di causa. Io posso solo condividere la mia esperienza e mi ritengo estremamente fortunata. Ho sempre frequentato posti di lavoro prettamente maschili e mi sono sempre trovata bene sia in un Paese che nell’altro. L’essere donna non è mai stata per me una fonte di discriminazione. Credo che sia una questione di come ci si pone. Essere umili, fermi, ma soprattutto rispettosi delle persone che ci circondano. Il vero problema nella società moderna è la poca solidarietà femminile. Mi è capitato spesso di vedere donne pronte a sfoderare lo scettro dell’invidia: che grandissimo spreco di energie! La ricetta utile per un’imprenditrice? È la formazione! Nessuno aiuta gli imprenditori. Nessuno insegna loro come svolgere al meglio questa professione ‘rischiosa’. Perché si tratta di una vera e propria professione. Imprenditori si diventa lavorando sul campo. Non ci sono scorciatoie. Riporto una frase di Jordan Belfort, sentita personalmente durante un suo intervento: ‘Imparate ad avere insuccesso con eleganza, perché quando agisci non azzeccherai mai il risultato al primo colpo. Quando si fallisce si cresce, e non è vero che siamo gli errori del passato: noi siamo il modo in cui ci siamo approcciati all’errore. L’unica ricetta è acquisire costantemente competenze in quasi tutti i campi, nessuna scorciatoia”.
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“Broker assicurativa”: vuole essere così cortese da spiegarci in che cosa consiste il suo lavoro, rendendo comprensibile le caratteristiche della professione anche per chi dovesse leggerci dall’estero? Perché le attività di sicurtà sono in generale da sempre così decisive in Svizzera?
“Il mio lavoro consiste nel creare un abito su misura per il cliente. Come se fossi un sarto che cuce su misura la camicia giusta. Definizione tecnica: per broker assicurativo s’intende un professionista il cui compito è quello di mediare tra le varie compagnie assicurative e i clienti. Generalmente lo scopo è quello di trovare nel vasto mercato la soluzione più consona alle esigenze di qualcuno. La Svizzera ha da sempre guardato con interesse il mondo assicurativo e questo credo che dipenda dalla sua prosperità. Essendo un Paese prosperoso, l’esigenza di assicurarsi ne è la conseguenza logica. È una Nazione ‘ricca’ e la ricchezza va tutelata, messa al sicuro da eventuali rischi e perdite. Durante la preistoria l’essere umano avvertiva la necessità di provvedere alla propria sicurezza, accumulando riserve di cibo per affrontare l’inverno o i momenti difficili. Metafora chiara per capire l’importanza delle assicurazioni in Svizzera”.
Se non ci sbagliamo, uno dei suoi punti di forza è la rara capacità di adattare le soluzioni assicurative e previdenziali ai veri desiderata dei clienti anziché proporre formule o polizze “preconfezionate” in stile automa. Che cosa vuol dire per lei approcciare un cliente, rivolgendogli la domanda “di che cosa ha bisogno?” in primis?
“Siamo di fronte ad un bivio, oggi. Credo che sia giunto il momento di passare dal campo prezzo/soluzioni preconfezionate al campo del valore. Il punto fondamentale è capire bene se io posso realmente aiutare il mio cliente oppure no, e che valore posso eventualmente dargli. La figura dell’assicuratore classico ‘uomo distinto con la valigetta in mano, gentile, di famiglia, simpatico, ma con un prodotto buono’ non esiste più. La concorrenza ha alzato l’asticella a livelli altissimi e questo ha portato alla non cura del cliente. Il focused è vendere, chiudere contratti, salutare e correre verso un nuovo prospect. Questo modo di lavorare non è più sostenibile in un mercato saturo e completamente consapevole. Bisogna assolutamente cambiare rotta, fare qualcosa di differente, oppure banalmente tornare al principio base: l’interesse del cliente. Bisogna focalizzarsi su argomenti interessanti, apportare innovazione nel soddisfare al meglio il bisogno della clientela”.
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La sua business card pare qualificarsi come rivelatrice di diverse sfaccettature della personalità della titolare, quasi fosse una sorta di passepartout per l’anima: perché il disegno sul retro di un triangolo non perfettamente chiuso e perché il tutto su sfondo nero?
“Il triangolo è una delle prime forme geometriche che fu usata negli ornamenti dei popoli antichi. Nelle varie tradizioni ci sono numerose interpretazioni, ma per quanto mi riguarda è molto più semplice di quello che sembra. Dai tempi della scuola sono sempre stata affascinata dalle forme geometriche. Sono lineari, semplici, pure. Prive di decorazioni superflue e apparentemente perfette. Uso il termine apparentemente perché in realtà la perfezione non esiste. Non è nient’altro che una costruzione mentale prettamente soggettiva che trova il fondamento nella singola percezione della verità. Da qui l’idea di lasciarlo aperto. Apertura al cambiamento, alla capacità di adattarsi in contesti indeterminati e in situazioni poco consuete. Come se fosse una continua evoluzione, necessaria al progresso, al raggiungimento della vera perfezione, che per me consiste nella versione migliore di me stessa: secondo i miei parametri, secondo i pregi e i miei difetti. La scelta dello sfondo, invece, trova ispirazione nel colore. Sono sommersa da milioni di biglietti da visita. Quelli dei clienti, dei colleghi, di professionisti… tutti bianchi. Volevo qualcosa che non si confondesse, quasi un simbolo di innovazione come del resto è il mio approccio al lavoro. Ho mantenuto la tradizione, il bianco e il nero, palette tipica delle business card, ma invertendole. Il nero è un colore che viene preso sul serio. Classico, elegante e sofisticato. È un’ottima base per fare risaltare il vero contenuto. Il vero protagonista. Il triangolo non triangolo…”.
Che cosa pretende dai suoi collaboratori e dagli amici e quali atteggiamenti le danno maggiormente fastidio nel prossimo? È una persona tollerante oppure perdona difficilmente un’incomprensione o uno sgarbo? Quali “sanzioni” adotta, nel caso?
“Mi ritengo una persona che ha compreso l’importanza della tolleranza. Gli atteggiamenti che maggiormente mi infastidiscono sono le ‘prese in giro’. Non tanto per l’inganno che la fa da padrone, quanto per la bassa considerazione che si ha del proprio interlocutore. Mi spiego meglio: quando si vuole raggirare qualcuno, lo si fa partendo dal presupposto che la controparte sia limitata, ottusa, sottosviluppata o, in ogni caso, deficitaria in qualcosa. Ritengo che questo preconcetto sia estremamente grave. Sono sempre stata sportiva e, di conseguenza, un’agonista. Le competizioni sono belle da vincere o da perdere se fatte ad armi pari. Perché è proprio in questo modo che si può imparare qualcosa, che ‘si deve’ imparare qualcosa: altrimenti, non ne vedrei il senso. Mi è capitato di essere stata beffata e da lì mi sono resa conto che la sofferenza più forte arrivava non tanto dall’imbroglio in sé, bensì dalla poca stima nei miei confronti. L’epilogo non prevede sanzioni, la nostra coscienza è il giudice supremo, e non consente nessuna riduzione di pena. Io mi limito ad allontanarmi: al resto penserà la vita…”.
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Alla Valeria Cattaneo di quest’intervista, non mancano di certo le idee chiare, sugli altri e su stessa. Rimpianti? Rimorsi? C’è qualcosa che ha fatto e non farebbe mai più e qualcosa che avrebbe voluto fare e si è lasciata scappare di mano?
“Mi è capitato di pensare al passato e di analizzare alcune decisioni prese, immaginando che tutto sarebbe potuto andare diversamente. Credo che sia un pensiero comune che a volte fa sorgere dei veri e propri rimpianti o rimorsi. Con il senno di poi sembra tutto più, facile ma con il ‘se’ e con il ‘ma’ non si fa la storia. Sono dell’idea che questi sentimenti siano indice di buon carattere e di una personalità onesta. Io cerco di limitarli, conscia del fatto che indietro non si torna. Non si dovrebbe sprecare del tempo prezioso per cercare di rimediare a cose oramai andate perdute, o per cui non ne valga più la pena combattere o rimuginare. La vita è piena di sorprese a volte belle, a volte brutte, ma esse devono essere affrontate con il giusto spirito. Quello che conta è imparare la lezione. È fondamentale, per me, ricordare che qualche errore o decisione sbagliata non può condizionare il resto della mia esistenza. Bisogna ripartire da quel punto e cercare di ricostruire quello che si può ricostruire. Se non si sbaglia mai, non si impara. Quindi, direi, che sono contenta di aver avuto dei rimorsi, di non aver fatto e detto, e dei rimpianti, di aver fatto e detto, altrimenti non sarei la persona che sono oggi…”.
Isolando la Valeria Cattaneo “pubblica”, al tempo stesso donna d’affari di successo e influencer di grido, che cosa resta? Come riempie il suo tempo libero? C’è qualcosa che vorrebbe fare e che non ha ancora avuto l’opportunità di realizzare, il celeberrimo “sogno nel cassetto”? In ultimo, sogna una famiglia tutta per sé?
“Resto una ragazza di trentaquattro anni che ha finito i cassetti per i troppi sogni. Scherzi a parte, il vero sogno nel cassetto che non ho ancora realizzato, ma a cui mi sto pian pianino avvicinando, è la “Vale che vorrei”. Sicuramente di primo impatto potrò risultare una pazza agli occhi del lettore, ma poi non apparirà cosi bizzarro quello che sto per dire. Nei momenti più difficili, in cui mi sentivo sola o incapace di risolvere situazioni complicate, che mi portavano infelicità, ho iniziato a pensare a come avrei potuto modificare i miei comportamenti e, di conseguenza, le mie sensazioni poco positive. La realizzazione di un sogno porta con sé un intrinseco senso di mancanza e, quindi, di poca soddisfazione. Ho iniziato ad analizzare, facendo una vera e propria lista, tutte le cose che non mi piacevano: di me stessa, degli altri, di tutto ciò che mi circondava. Ho iniziato a pensare alla ‘Vale che vorrei’, che è una versione migliore di me stessa. Che non è perfetta, perché nella versione che tu vorresti essere non penso che nessuno vorebbe essere perfetto al cento per cento. Anche perché ‘perfetta’… secondo quali canoni? Secondo i tuoi canoni, i miei canoni? Mi sono detta: in una situazione X, la ‘Vale che vorrei’ come avrebbe agito? Sarebbe stata più gentile, più dura, più onesta… oppure addirittura alla ‘Vale che vorrei’ non sarebbe neanche interessato? Mi sforzavo di reagire alla stessa maniera. Questo esercizio mi ha aiutato tantissimo a stare meglio con me stessa. Non ha senso sognare la luna se si ha paura del buio. Ho ben presto compreso come sia tutto una questione di mindset. Il coronamento di un sogno è soltanto la meta finale, la parte difficile è il viaggio e, soprattutto, come affronti il percorso. Non dico che sia facile: assolutamente non è così, ma di certo molto efficace. Poi il sogno arriva, qualunque esso sia. Sogno una famiglia? Sì, alla ‘Vale che vorrei’ piacerebbe sicuramente”.
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