Quella Confederazione Italiana nata e sepolta a Zurigo
La violazione piemontese della Pace fra Austria e Francia del 10 novembre 1859 negò alla Penisola un’alleanza guidata dal Papa e dotata di un esercito comune
Una Confederazione di Stati italiani presieduta dal Pontefice non soltanto così come era stata evocata dal pensiero politico del filosofo Vincenzo Gioberti, bensì vicinissima a realizzarsi nel concreto all’indomani della Seconda Guerra d’Indipendenza.
L’11 luglio 1859, dopo la battaglia di Magenta e i sanguinosi scontri di Solferino e San Martino, Napoleone III, nella sua qualità di Imperatore dei Francesi, e Francesco Giuseppe d’Asburgo, suo omologo austriaco, sottoscrissero l’Armistizio di Villafranca.
L’atto avrebbe dovuto porre fine al tentativo sabaudo e del Piemonte di espandersi verso oriente e alle mire su Venezia coltivate da tempo da Cavour, circostanza che costrinse il Primo Ministro del Regno di Sardegna a dare immediate dimissioni.
La firma “riluttante” del Re di Sardegna
Benché a Villafranca di Verona il successivo giorno 12 sia arrivata anche la firma di Vittorio Emanuele II, che ambiva annettere l’intero Regno Lombardo-Veneto, l’armistizio scaturì soprattutto dalla volontà unilaterale della Francia di non estendere il conflitto all’Europa centrale, esigenza che fu subito raccolta dall’Austria.
Alexandre Colonna Walewski, Ministro degli Affari Esteri, aveva infatti comunicato a Napoleone III “l’avvertimento” giuntogli indirettamente da San Pietroburgo dal governo dello Zar di Russia, per il quale se l’esercito sardo-francese avesse insistito a combattere e violato il territorio della Confederazione Germanica, circostanza che avrebbe potuto avvenire in Trentino, anche soltanto con i volontari di Giuseppe Garibaldi, il Regno di Prussia sarebbe entrato in guerra con gli altri Stati tedeschi contro la Francia.
Al via in Svizzera le trattative fra le Potenze
L’8 agosto a Zurigo si aprì la conferenza di pace, dove gli Asburgo non volevano la presenza dei plenipotenziari piemontesi. La Francia era rappresentata dal conte Bourqueney e dal marchese di Banneville, l’Austria dal barone di Meysembug e dal conte Karoly, il Regno di Sardegna dal cavaliere Luigi Des Ambrois de Nevâche.
Di fatto, le trattative furono condotte soltanto da Francia ed Austria, che raggiunsero facilmente un accordo: la Lombardia, con l’eccezione di Mantova, fortezza del quadrilatero fortificato i cui vertici includevano anche Verona, Peschiera del Garda e Legnago, era ceduta alla Francia e il Piemonte avrebbe potuto soltanto accettare o rifiutare il “dono” del retro-passaggio di tale regione.
Il trattato, con una protervia che oggi non sarebbe stata tollerata nei riguardi del mancato rispetto di un accordo internazionale (“Ce lo chiede l’Europa”), non venne tuttavia ossequiato dal governo di Torino, il quale ignorò le disposizioni chiaramente esposte agli articoli 18 e 19 della Pace di Zurigo del 10 novembre 1859. L’indirizzo dell’unità d’Italia avvenne così in senso decisamente monarchico ed unitario, facendo tramontare le idee federaliste.
Il Trattato di Zurigo tra Austria e Francia del 10 novembre 1859
Il Pontefice presidente onorario dell’unione
Nel complesso, il patto avrebbe prefigurato una federazione di Stati e un esercito comune sul modello statunitense o svizzero, la presidenza confederale affidata al Pontefice, la partecipazione ad essa dell’Austria in quanto titolare della sovranità sul Veneto, la salvaguardia dei diritti degli Stati di Toscana, Modena e Parma e la conferma delle prerogative della Chiesa sulla cosiddetta Legazione delle Romagne: Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì.
L’articolo 18 affermava: “Sua Maestà l’Imperatore dei Francesi e Sua Maestà l’Imperatore d’Austria si obbligano a favorire con tutti i loro sforzi la creazione di una Confederazione tra gli Stati Italiani, che sarà posta sotto la presidenza onoraria del Santo Padre, e lo scopo della quale sarà di mantenere l’indipendenza e l’inviolabilità degli Stati confederati, di assicurare lo svolgimento de’ loro interessi morali e materiali e di garantire la sicurezza interna ed esterna dell’Italia con l’esistenza di un’armata federale”.
E ancora, rileggendo il secondo paragrafo su tale questione, riguardante il destino del Veneto, vi si diceva: “La Venezia, che rimane posta sotto la corona di Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica, formerà uno degli Stati di questa Confederazione, e parteciperà agli obblighi come ai diritti risultanti dal patto federale, le cui clausole saranno determinate da un’assemblea composta dei rappresentanti di tutti gli Stati Italiani”.
Fatti salvi i diritti di Toscana, Modena e Parma
L’articolo 19 faceva salva la sopravvivenza di feudi secolari, che insistevano sugli attuali territori emiliani e toscani: “Le circoscrizioni territoriali degli Stati indipendenti dell’Italia, che non presero parte nell’ultima guerra, non potendo esser cambiate che col concorso delle Potenze che hanno presieduto alla loro formazione e riconosciuta la loro esistenza, i diritti del Gran Duca di Toscana, del Duca di Modena e del Duca di Parma sono espressamente riservati tra le alte parti contraenti”.
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