Andreas Voigt: “In Appenzell il meglio di Emilia e Germania”
Una famiglia unita e una Web Agency migrata dall’Italia alla Svizzera nel racconto di un imprenditore vulcanico e coraggioso nonché prodigo di idee e consigli
C’è un villaggio nella Svizzera nordorientale che tende la mano alla Regione Emilia-Romagna e al Land del Baden-Württemberg. È lì che un’azienda piccola, ma tecnologicamente avanzatissima, vive e prospera sotto la regia di una coppia molto ben affiatata, insieme sul mercato nonché uniti in famiglia già da ventidue anni.
Il matrimonio e l’azienda hanno in comune la figura di Andreas Arno Michael Voigt, cinquantatreenne carpigiano di passaporto germanico, molto popolare sui social network, che nella Confederazione Elvetica ha trovato una seconda vita ed è stato in grado di stabilizzare le sorti della propria Innovando Gmbh.
La narrazione del destino di questa Web Agency a gestione familiare, prima modenese e poi appenzellese, così come quello degli stessi titolari, offre lo spunto di un’intervista il cui botta e risposta si rivela carico di notizie, giudizi e consigli sulla vita e le dinamiche di chi ha lasciato un Paese per la terra rossocrociata.
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Andreas Arno Michael Voigt risulta essere un cittadino tedesco titolare di un’azienda dal nome italiano nel minuto Cantone Appenzello Interno della Svizzera: qual è il percorso che l’ha portata a questo singolare approdo? “Chi è”, o come vorrebbe definirsi, in estrema sintesi?
“Io sono per definizione semantica un figlio dell’Europa. Sono il frutto dell’amore di un’italiana con un tedesco, su suolo emiliano-romagnolo, a Rimini. Ebbene sì. Poi mia mamma partì con mio padre per la Germania e mi portò a nascere lì, a Mannheim, nel Baden-Württemberg. In seguito, vicissitudini familiari spiacevoli portarono me e lei a trasferirci, a Carpi, in terra modenese, neanche fosse davvero un segno del mio destino. Mi definisco emiliano con ascendenze straniere. Non sono tedesco, non sono italiano: sono emiliano, con passaporto tedesco. La mia azienda? Innovando nasce a Carpi, tra auto sportive, lasagne e quel senso del lavoro e dell’impegno tipico di questa terra che ha segnato profondamente la mia persona. Nel 2012 in Emilia tremò la terra e questo fatto mi portò e considerarlo come un segno che dovevo prendere decisioni importanti. Tra peso fiscale, burocrazia eccessiva e uno Stato onnipresente quando deve prendere, ma assolutamente inesistente quando deve dare (anche adesso in tempo di COVID nonostante i proclami), fui costretto a guardarmi intorno. Pensavo di tornare in Germania, ma alla fine mi sono fermato a metà strada in questo piccolo angolo di paradiso che è l’Appenzello Interno. Diciamo quindi che, più che una scelta vera e propria, è stato un caso. Ho portato non soltanto la mia piccola famiglia in Svizzera, ma anche la mia attività, anche per essere perfettamente trasparenti con il fisco italiano. E così ora c’è una Innovando in mezzo al Kanton Appenzell Innerrhoden. Un pezzo di Emilia a ridosso del Lago di Costanza….”.
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Da giudice, per così dire, “super partes”, in quanto persona di cultura e di nazionalità germanica, qual è il giudizio che si è fatto dell’Italia, dalla quale proviene, e della Svizzera, in cui oggi lavora, sulla scorta dei molti anni di vita vissuta?
“È un domandone! Essendo andato via, il mio giudizio non può certo essere molto benevolo, anzi, è severo. Proprio stando qui in Svizzera ti rendi conto delle pecche. Per carità, ogni Nazione ha i suoi lati negativi e la Svizzera non è esclusa, ma è pur vero che l’Italia sia diventata un Paese dove fare impresa è davvero difficile. La Penisola era un contesto difficile già decenni fa, sia ben chiaro, ma almeno fare impresa non era appunto ‘un’impresa’ al limite dell’impossibile. Oggi, se non hai una struttura industriale di un certo tipo che in un certo senso ti protegge dalle contingenze economiche cicliche, sei sempre a rischio. Vivere sapendo che domani potresti non esistere più imprenditorialmente parlando, non è certo una delle situazioni migliori sul piano emotivo. Soprattutto ho un giudizio veramente negativo del sistema della giustizia, amministrata in modo non soltanto allucinante, ma spesso umiliante per il cittadino che, oltre a doversi difendere dai soprusi dei suoi concittadini, si trova costretto a proteggersi anche dalla pubblica amministrazione in toga. L’Italia è un ‘meta-Paese’ che funzionerebbe molto meglio in un contesto organizzato secondo i dettami e le regole di uno Stato federale, ma davvero federale, come quello svizzero, non quello edulcorato delle Regioni. Al di là delle questioni culturali, dei problemi dell’implosione demografica che creerà nei prossimi anni situazioni davvero difficili da gestire, il conflitto delle competenze tra Stato e Regioni e la mai realmente esplicitata ‘Repubblica delle Regioni’ è, a mio avviso, ‘il problema’ da risolvere. Il COVID ha messo a nudo, in questo senso, pure molti problemi che il titolo V della Costituzione non è mai riuscito a risolvere. In questo senso, quindi, credo di aver risposto alla domanda. La Svizzera, il Paese federale più antico del mondo, con un impianto normativo e costituzionale basato sulla democrazia diretta e la fiducia reciproca tra Stato e cittadini, può insegnare moltissimo e ce ne stiamo accorgendo anche noi, vedendo le differenze nel nostro vivere quotidiano. Io però non rinnego la mia parte italiana, anzi, sono convinto che senza di essa sarei un uomo zoppo. C’è tanta Italia in me e c’è tanta Italia nel mondo e questo mi rende orgoglioso. Poi devo anche dire che prevale sempre la mia ‘educazione’ emiliana: infatti, come diceva il mio amico ed ex Sindaco di Carpi, Enrico Campedelli, io sono, sarò e resterò sempre figlio della terra che mi ha cresciuto, l’Emilia-Romagna. In dialetto: ‘Me a sun ed Chèrp’ (‘Io sono di Carpi’)”.
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Che cosa le manca di più dell’Emilia-Romagna e di Carpi e che cosa ha trovato di inatteso o di positivo nella Ostschweiz e nella piccola comunità di Gonten, in cui vive con sua moglie Elisa?
“Mi manca davvero tutto, persino la nebbia novembrina e l’odore dell’asfalto umido. Mancano gli amici, le relazioni sociali, gli amici. Come potrei rinnegarlo? Mancano la famiglia, il cibo emiliano, il caldo afoso e umidiccio impestato dalle zanzare. Ebbene sì, anche questo. Ma nella vita si fanno delle scelte e bisogna essere concreti e conseguenti. Adesso noi siamo qui a Gonten, a mille metri di altitudine, in mezzo ai prati e alle montagne e ci stiamo bene, anzi, benissimo. Ma chissà, magari tra qualche anno, ci stuferemo e torneremo in Italia: a casa, perché lo è davvero. Non non ci possiamo lamentare, però: qui abbiamo trovato la dolcezza del posto, la tranquillità di un luogo dove un giorno è un giorno e non una tragedia epocale fra telegiornali mortiferi e ‘bagonghi’ che ti derubano appena svolti l’angolo. Qui non c’è un furto da decenni. E che volete che possa succedere in un villaggio di 1.480 anime? Però, abbiamo la fibra ottica e per il nostro lavoro è il massimo. Qui stai semplicemente bene. Certo, per un ventenne potrebbe essere una prigione, ma per me e per mia moglie, sposati felicemente da ventidue anni, ci bastiamo e ci piace dove stiamo”.
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Lei è un sociologo e un pubblicitario “prestato” al mondo del più avanzato marketing digitale: la sua professione com’è stata trasformata dalle nuove tecnologie e come ritiene che possa cambiare ancora?
“Qui mi è facile rispondere. Innovando è questo. L’azienda è nata ventidue anni fa perché i due soci fondatori, Paolo Bonaretti e io, avevamo capito che il mondo della comunicazione stava per cambiare e che sarebbe stata una metamorfosi epocale, veloce, strutturale e culturale profonda. Certo, non sono cambiate le regole base della comunicazione: Paul Watzlawick è sempre lui anche adesso, Philip Kotler pure, ma nel frattempo è arrivato Seth Godin ed è arrivato perché, se è vero che le regole delle relazioni umane sono rimaste uguali nel senso antropologico del termine, è anche vero che esse sono influenzate dalla trasformazione digitale in modo così profondo che possiamo dire senza problemi che siamo di fronte ad una rivoluzione enorme dei nostri usi, costumi, dei nostri comportamenti e delle dinamiche di relazione sociale. La vera domanda delle cento pistole sarebbe quella di chiedersi fino a che punto questa trasformazione sia sostenibile culturalmente, socialmente, economicamente e anche ambientalmente, ma usciremmo dal seminato di questa sede. Posso però dire che la mia professione non si è trasformata perché io sono parte della trasformazione, ci vivo dentro e lavoro per trasformarmi e aiutare gli altri a farlo con me”.
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Qual è stato il suo successo più grande e quale invece la sconfitta più cocente in campo lavorativo da quando opera in Appenzello Interno?
“Mi è difficile rispondere a questa domanda. Non misuro mai l’attività in sconfitte o vittorie. Spesso le sconfitte diventano vittorie e le vittorie possono celare delle sconfitte. Diciamo che posso mettere sul piatto della bilancia degli esiti negativi le incomprensioni con i clienti o gli obiettivi non raggiunti, magari anche soltanto per responsabilità del cliente stesso. Noi ragioniamo per obiettivi e se un obiettivo non viene raggiunto e centrato al 100 per cento possiamo ritenerlo un’esperienza e magari anche una sconfitta. Io non mi considero ancora nel periodo dei giudizi e dei bilanci: credo di essere ancora a metà strada e quindi non ho il tempo per pensare alle sconfitte, non le ho in nota. E questo vale anche per le vittorie e i successi. E poi parlarne sarebbe mettere in piazza ciò che abbiamo fatto per i nostri clienti ed è una cosa che mi ha sempre infastidito. Io voglio essere ricordato non per ciò che ho fatto, ma per come ho fatto sentire le persone che hanno lavorato con noi…”.
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Come vede l’avvenire del mondo digitale, dei big data e dell’intelligenza artificiale così come di quello reale, peraltro sempre più interconnessi fra loro? In un suo recente post ha immaginato addirittura una società “senza denaro”…
“Ecco un altro domandone. Per rispondere ci vorrebbero un centinaio di libri! Oggi penso che sia importante non soltanto prevedere, ma anche essere flessibili al cambiamento che comunque è in atto. Noi dobbiamo abituarci a vivere su un treno in corsa passando da un vagone all’altro e addirittura da un treno all’altro senza che il convoglio si fermi perché ogni ferrovia è uno scenario, una realtà e ogni scenario o realtà può esistere ed essere vero indipendentemente da un altro. Viviamo in un tempo esponenziale che accelera sempre di più, dove se un secolo fa il mondo cambiava ogni 30 anni oggi muta ogni 5 e tra poco ogni 6 mesi. Pochi hanno capito, ad esempio, la rivoluzione che Apple ha portato con il proprio Chipset M1, una rivoluzione in termini industriali e commerciali che romperà in modo violento gli equilibri dell’evoluzione tecnologica nei prossimi anni: forse neanche ce ne accorgeremo, perché viviamo dentro quel processo di cambiamento. Non esiste più il mondo digitale: è questo il senso della trasformazione, perché il mondo è digitale e il digitale è diventato talmente parte di noi che non può esserci mondo oggi senza digitale, non può esserci mondo senza Internet, non può esserci mondo senza Big Data e non ci sarà mondo senza intelligenza artificiale. Oggi esistono software basati su algoritmi complessi di IA capaci di elaborare testi così complessi, così semanticamente e sintatticamente evoluti da non essere distinguibili dai testi elaborati da un ottimo copywriter senior. Il problema è che, commercializzando questi software, si creano problematiche etiche prima di tutto, ma anche di sicurezza che non siamo ancora in grado di risolvere, ammesso che si possano risolvere o si debbano risolvere. Pensiamo ad esempio alle criptovalute, oggi dissacrate ma reali ed esistenti: porteranno probabilmente – nel bene o nel male, non voglio dare giudizi etici – a rendere il concetto del denaro non più un concetto assoluto e questo potrebbe certamente far immaginare una società non più regolata dal denaro”.
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Quali servizi offre Innovando GmbH e perché dovrebbe essere preferita ad imprese concorrenti? Da quando opera dalla Confederazione Elvetica, ha dovuto rimodulare alcune strategie?
“Innovando non ‘offre servizi’ nel senso classico del termine. Innovando accompagna imprese, enti ed istituzioni nel percorso complessivo della trasformazione digitale. Certamente, svolge le funzioni di una normale Web Agency, ma sarebbe riduttivo e scorretto definirla tale; infatti non lo è. Innovando si affianca alle imprese che hanno bisogno di trasformare i propri processi di comunicazione e di vendita dal punto di vista digitale perché un sito Internet non è soltanto uno spazio Web, un e-commerce non è un software e far capire tutto questo al prossimo non è affatto semplice. Soprattutto nel mondo delle PMI, all’interno del quale Innovando opera, questo modus operandi è significativo e importante perché molte aziende, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, non hanno budget a disposizione per pagare professionisti e strutture, che finiscono per essere anche soverchianti in termini di impegno e risorse umane. Siccome però il tessuto industriale europeo è fatto comunque di piccole e medie imprese, il nostro posizionamento sul mercato diventa strategico. Spiegare ad un piccolo imprenditore o ad un negoziante cosa comporta creare un sito di e-commerce è un’impresa nell’impresa per tutta una serie di motivi contingenti, tra cui la scarsa professionalità che spesso un imprenditore subisce da parte degli operatori del settore e che porta l’imprenditore a non fidarsi o, peggio, a ‘bruciare’ i propri budget dedicati alla comunicazione digitale. Anche noi operatori del settore stiamo vivendo un periodo di trasformazione e cambiamento che comporta rischi di impresa e un lavoro enorme di acquisizione di know-how. Gestire i social media per un cliente oggi non lo si fa come lo si faceva cinque anni fa, ad esempio: è diventato un mestiere vero e proprio e pure complesso e che ha necessariamente bisogno di trovare una propria soddisfazione economica corretta e accettabile. La nostra evoluzione è un’evoluzione naturale indipendente dal Paese dove viviamo ed operiamo e, quindi, non mi sento di poter dire che la Svizzera ci ha in qualche modo favorito in questo. Possiamo dire che la Confederazione ci ha dato una certa stabilità finanziaria, che ci ha permesso di alimentare il cambiamento, questo sì”.
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La sua azienda gode di buona reputazione fra i clienti e ha contenuti particolarmente apprezzati dai motori di ricerca, Google segnatamente. Quali sono le principali sfide che l’aspettano e i veri punti di forza su cui può e potrà contare in futuro?
“Abbiamo in effetti un vantaggio competitivo. Esistiamo ininterrottamente da ventidue anni e questo per una Web Agency, considerando i ritmi evolutivi di Internet, è una eternità e un valore che hanno pochi. Abbiamo visto nascere il Web, viviamo su Internet, conosciamo i processi della sua evoluzione, sappiamo anche capire che cosa ci sarà domani sul Web e questo ci è di grande supporto nelle relazioni con i clienti e quindi anche per ottimizzare e armonizzare progetti, idee, propositi, obiettivi e poi benchmark. La sfida più grande non è tecnologica per noi, noi ormai siamo ‘dentro la tecnologia al punto tale che ne facciamo parte. La nostra sfida è umana ed è scritta nella nostra mission aziendale e cioè portare i nostri clienti a prendere coscienza di ciò che significa trasformazione digitale, come renderla sostenibile con i mezzi e le risorse a disposizione e, soprattutto, come rendere ben chiari i vantaggi della digitalizzazione come anche gli svantaggi. Questa è la nostra sfida. È un impegno, una dichiarazione di intenti forte e complessa da gestire perché le resistenze all’interno delle aziende sono tante, ma essa è la cosa più bella che possiamo estrapolare dal nostro operare quotidiano perché, come dice uno dei motti della ‘Weconomy’, ‘chi condivide vince, chi divide perde’…”.
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Lei è noto anche come commentatore od “opinionista” di fatti di interesse pubblico o talvolta “leggeri” su Facebook. Si considera una sorta di influencer? Quanto è importante comunicare, perché lo è e che utilizzo bisogna fare dei social network? In che misura possono risultare realmente utili sul piano professionale e quali sono gli errori più insidiosi da evitare?
“Confesso che me lo chiedono in tanti. In realtà, il mio approccio con i social è totalmente naturale, non ha fini economici e nemmeno di marketing, anche se devo confessare che la notorietà mi ha portato sicuramente dei vantaggi. Sicuramente però posso dire di non considerarmi affatto un influencer; non lo sono, non mi ci riconosco e non ho nemmeno velleità di questo genere. Io sono così come le persone mi vedono e mi conoscono online, o almeno ci provo: magari non sempre mi riesce. Posso dire che i social sono un po’ un mezzo per me per sublimare la mia voglia di condivisione, una sorta di deformazione professionale. Comunicare non è importante; ‘è’, punto. È nella natura umana. Paul Watzlawick dice che ‘non si può non comunicare’. Comunichiamo anche quando pensiamo di non comunicare; comunichiamo coi gesti, con il corpo, con le espressioni, con il modo di vestirci e comunichiamo anche quando comunichiamo; sì, lo so, sembra una sciocchezza, ma se pensiamo che analizzando il nostro linguaggio si possono estrapolare altri messaggi e se pensiamo che ad un messaggio possiamo dare più significati a seconda delle persone a cui ci rivolgiamo, allora possiamo dirlo senza pensare di dire una sciocchezza. Noi siamo comunicazione e nell’era della comunicazione digitale massificata, come mai nella storia umana, questo diventa un assioma imprescindibile della nostra vita sociale e professionale. Per spiegare come tutto questo si relazioni ai social network e come dovrebbe essere utile e vantaggioso in termini professionali comunicare o meglio essere su un canale, ci vorrebbero un altro centinaio di libri. Però posso anche qui citare una frase di un’amica e collega che stimo moltissimo, Paola Cinti, che anni fa ad un corso proprio sull’uso dei social network, disse: ‘Sui social non basta esserci, bisogna starci’. Pensare che avere un profilo social sia sufficiente per essere social è una idiozia pura. Per alimentare la propria reputazione e dare valore al personal brand, bisogna starci, bisogna interagire con gli altri, comunicare, essere. Credere che i social siano soltanto un giocattolo per ragazzini è una stupidaggine. Allora tanto vale non andare al bar e chiudersi in casa con le tapparelle abbassate ventiquattr’ore su ventiquattro, l’effetto è lo stesso. Poi, possiamo discutere della qualità della presenza, sui problemi di sovraesposizione, sulle questioni e i pericoli dei social network: per carità, ci sta. Ma anche l’invenzione dell’automobile, che nascondeva il pericolo del traffico congestionato e degli incidenti mortali, non ha impedito all’uomo di usare tale veicolo come mezzo di trasporto predominante nel mondo. Basta fare le cose con coscienza”.
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Oltre alla cucina e alla bonomia di sua suocera Mirella, nei suoi “lanci online” ritroviamo spesso riferimenti a una parte della sua famiglia che disgraziatamente non c’è più: nonno Arno e mamma Gabriella. Quanto sono stati importanti nella sua esistenza, quanto lo sono ancora e quali loro insegnamenti o esperienze di vita si sente di condividere con i nostri lettori?
“Noi siamo anche il prodotto di ciò che i nostri genitori e nonni ci hanno lasciato. Mio nonno è stato un monumento per me, un padre, un tutor, un faro e anche un esempio. Giornalista, storico, geopolitico, soldato pluridecorato, due croci di ferro di prima classe di cui una con foglie di quercia per atti di estremo coraggio e combattimento all’arma bianca: un uomo che non mollava mai. Mia mamma mi ha lasciato la mia cultura, mi ha insegnato ad essere curioso di tutto, a leggere, ad informarmi, a non lasciarmi dire le cose dagli altri, ad avere spirito critico, forse anche un po’ troppo a volte. Ho avuto più vite, non una sola e mi imbarazza anche un po’ raccontarle in un’intervista pubblica: qui viene fuori la mia riservatezza. Ma una cosa mi viene in mente adesso, una frase di mio nonno che, finita una telefonata con un giornalista della ‘Die Welt’ a cui aveva appena dato del cialtrone, mi disse: ‘Caro Stoppen (mi chiamava così): Io ho combattuto una guerra e l’ho persa e oggi posso dire ‘per fortuna’. Tu dovrai combatterne tante perché il mondo sta diventando dannatamente complesso. Da geopolitico quale era, oggi posso comprendere molto bene le sue parole: aveva ragione’…”.
Alessandro Bertoldi: “Prima di chiedere, è necessario dare!”
Un articolo sensazionale che descrive la Innovando e i professionisti che la gestiscono com’è realmente, una società che sembra vecchia da tanta esperienza e saggezza stiva dentro di se fino alla più totale essenza di modernità ed eccellenza, direi che la Innovando è il principio attivo della vera innovazione ed è protagonista del futuro che stiamo già vivendo. Senza parole, Bravissimi!!
Test
Bravo nipote!
Proud so much 💖
Sono così orgogliosa di voi due (perché Elisa é come te INNOVANDO) che sono gonfia come un tacchino e ho la coda di un pavone in mostra 👍💖
Bravo. et Bravi