Mario Draghi al World Economic Forum di Davos

Draghi nel 2011: “Il federalismo aiuta i conti pubblici”

Il Governatore di Banca d’Italia evocò tributi locali associati a una riduzione di tasse al centro e nuovi compiti decentrati soggetti a controlli di legalità

Alla vigilia di iniziare la propria avventura di Presidente della Banca Centrale Europea, protrattasi negli uffici di Francoforte sul Meno per otto “lunghi” anni sino al 31 ottobre 2019, Mario Draghi aveva lanciato un monito per il futuro nelle Considerazioni Finali e nel testo della Relazione Annuale per il 2010 della Banca d’Italia.

Affermando che “bisogna ritornare alla crescita, che il declino non è ineluttabile per il nostro Paese”, l’accademico ed economista romano alludeva all’Italia in piena crisi della stagione 2011, nella quale “l’esecutivo supertecnico” del bocconiano Mario Monti era subentrato al governo, sgradito a Bruxelles, di Silvio Berlusconi.

Accordo preliminare tra il Governo e la Regione Emilia-Romagna
Accordo preliminare tra il Governo e la Regione Lombardia
Accordo preliminare tra il Governo e la Regione Veneto

”Oggi (all’epoca, ndr) bisogna in primo luogo ricondurre il bilancio pubblico a elemento di stabilità e di propulsione della crescita economica, portandolo senza indugi al pareggio, procedendo a una ricomposizione della spesa a vantaggio della crescita, riducendo l’onere fiscale che grava sui tanti lavoratori e imprenditori onesti’‘, aveva aggiunto l’allora Governatore dell’istituto di via Nazionale.

Un’apertura vera al regionalismo differenziato

Per Mario Draghi, il federalismo poteva lucidamente aiutare nella gestione dei conti pubblici. Però, a due condizioni: che i nuovi tributi locali siano accompagnati da un taglio delle tasse al centro; che ci sia un controllo di legalità sui nuovi compiti decentrati.

”Il federalismo fiscale può aiutare”, affermava, “responsabilizzando tutti i livelli di governo, imponendo rigidi vincoli di bilancio, avvicinando i cittadini alla gestione degli affari pubblici. Due condizioni sono cruciali: che i nuovi tributi locali siano compensati da tagli di quelli decisi centralmente, e non vi si sommino; che si preveda un serrato controllo di legalità sugli enti a cui il decentramento affida ampie responsabilità di spesa”.

Relazione Annuale per il 2010 della Banca d’Italia

Nelle sue ultime Considerazioni Finali, Mario Draghi definiva appropriata l’intenzione di anticipare a giugno la manovra correttiva e l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2014 e sollecitava un riequilibrio della flessibilità del mercato del lavoro.

Evocando misure ancora d’attualità, chiedeva anche di ridurre il peso del fisco su imprese e lavoro, compensando il minor gettito con il recupero dell’evasione; e di fronte alla crisi dei debiti sovrani insisteva perché le politiche nazionali attuassero piani correttivi.

Mario Draghi ai tempi della Banca Centrale Europea
Mario Draghi ai tempi della Banca Centrale Europea

Una dotazione insufficiente di infrastrutture

Inoltre, lanciava un monito capace di dispiegare efficacia anche nell’Italia contemporanea: il Paese “è indietro nella dotazione di infrastrutture rispetto agli altri principali Paesi europei”.

E inoltre: ”incertezza dei programmi, carenze nella valutazione dei progetti e nella selezione delle opere, frammentazione e sovrapposizione di competenze, inadeguatezza delle norme sull’affidamento dei lavori e sulle verifiche degli avanzamenti producono da noi opere meno utili e più costose che altrove”.

Il 31 maggio 2011 Mario Draghi ricordava anche i ritardi nel completamento delle opere e lo scarso utilizzo dei fondi pubblici e comunitari, per i quali alcuni territori fanno però decisamente meglio di altri.

“È necessario recuperare efficienza nella spesa, anche per sfruttare appieno le risorse dei concessionari privati e di quelle comunitarie, che non pesano sui conti pubblici”. 

La firma di Mario Draghi su una banconota da 10 euro
La firma di Mario Draghi su una banconota da 10 euro

I fondi comunitari utilizzati per il 15 per cento

Mario Draghi, la cui esperienza al di fuori dell’Italia si estendeva in Svizzera al ruolo di consigliere d’amministrazione della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, evidenziava altresì che ”le opere da realizzare valgono 15 miliardi’‘ e che ”i fondi strutturali comunitari attualmente a nostra disposizione sono spesi solo per il 15 per cento, quelli non spesi ammontano a 23 miliardi”. Così, seguitava dieci anni or sono Mario Draghi, ”accelerare tutti questi interventi darebbe un forte impulso all’attività economica”.

Una manovra “tempestiva, strutturale, credibile agli occhi degli investitori internazionali, orientata alla crescita”, potrebbe “limitare gli effetti negativi sul quadro macroeconomico”, ed è molto facile trovare analogie con l’Italia del 2021 al tempo del coronavirus.

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Secondo l’allora Governatore di Banca d’Italia e dal 24 giugno 2011 della BCE, occorreva “un’accorta articolazione della manovra, basata su un esame di fondo del bilancio degli enti pubblici, voce per voce, commisurando gli stanziamenti agli obiettivi di oggi, indipendentemente dalla spesa del passato”.

Infine: “Affinando gli indicatori di efficienza dei diversi centri di servizio pubblico (uffici, scuole, ospedali, tribunali) al fine di conseguire miglioramenti capillari nell’organizzazione e nel funzionamento delle strutture; proseguendo negli sforzi già avviati per rendere più efficienti le amministrazioni pubbliche; impiegando una parte dei risparmi cosi’ ottenuti in investimenti infrastrutturali”.