Vent’anni or sono l’attacco del Liechtenstein alla Germania
Il primo giugno 2001 il Principato alpino intentò un’insolita causa dinanzi alla Corte di Giustizia dell’ONU per l’uso di suoi beni come riparazioni di guerra
Era il primo giugno 2001, un venerdì di vent’anni fa esatti, quando il Principato del Liechtenstein avviò un clamoroso procedimento legale dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia contro la Germania per una controversia riguardante i lunghi effetti giuridici, sociali, morali ed economici della Seconda Guerra Mondiale.
Per la prima volta nella storia, la Repubblica Federale Tedesca era infatti chiamata a rispondere in solitudine, dinanzi ai 15 magistrati eletti per nove anni nel Palazzo della Pace dell’Aja, principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, del comportamento delle proprie autorità interne su istanza di un altro Stato sovrano.
Titoli professionali più equivalenti fra Svizzera e Germania
Il tema della controversia, peraltro di straordinario interesse politico e normativo, anche alla luce della crescente importanza che ha il tema della restituzione delle opere d’arte fra Paesi a seguito di furti o di requisizioni del passato, riguardava la decisione della Germania di trattare unilateralmente le proprietà che si sosteneva appartenessero a cittadini liechtensteinesi come beni tedeschi confiscati a scopo di risarcimento dei danni bellici subiti da altri.
I “Decreti Beneš” cecoslovacchi tra Berlino e Vaduz
Il ricorso del Principato alpino rammentava che una serie di provvedimenti adottati dalla Cecoslovacchia nel 1945 e recepiti successivamente dalla Repubblica Ceca e dalla Slovacchia di oggi, i cosiddetti “Decreti Beneš”, prevedessero la confisca delle proprietà di cittadini tedeschi e ungheresi situati sul proprio territorio e come il Governo di Praga abbia applicato tali norme anche ad altre persone fisiche o giuridiche che ritenesse a suo insindacabile giudizio essere d’origine o etnia tedesca o magiara, trattando i cittadini del Liechtenstein come di nazionalità tedesca.
Sintesi del centenario amore fra Svizzera e Liechtenstein
La Cecoslovacchia era un Paese schierato con gli Alleati e belligerante contro il Terzo Reich durante la Seconda Guerra Mondiale, tuttavia l’effetto pratico delle proprie scelte politiche post-belliche fu che le norme fortemente caldeggiate da Edvard Beneš (peraltro figura molto importante per Praga nel periodo di transizione tra l’Impero Austro-Ungarico e il blocco sovietico…) determinarono il sequestro di beni di cui erano titolari lo Stato liechtensteinese e la stessa casa regnante, rimasti in territorio ceco e slovacco e mai restituiti ai legittimi proprietari né oggetto dell’offerta o del pagamento di un risarcimento per la confisca.
Nel ricorso all’Aja da parte del Principato si leggeva, “le decisioni della Germania, nel 1998 e dopo il 1998, di trattare alcuni beni di cittadini del Liechtenstein come beni tedeschi essendo stati ‘sequestrati a scopo di riparazione o di restituzione, o a causa dello stato di guerra’ – cioè come conseguenza della seconda guerra mondiale -, senza assicurare alcun risarcimento per la perdita di tali beni ai loro proprietari, e a danno del Liechtenstein stesso”.
È confronto fra i cinque Paesi di lingua tedesca a Lugano
I due Paesi germanofoni e una Convenzione del 1957
Come base della giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia, il Liechtenstein invocò la Convenzione Europea per la Risoluzione Pacifica delle Controversie del 29 aprile 1957, ratificata da Bonn il 18 aprile 1961 e da Vaduz il 18 febbraio 1980.
Secondo l’articolo 1, le parti contraenti “sottoporranno al giudizio della Corte internazionale di giustizia tutte le controversie giuridiche internazionali che possono sorgere tra loro, comprese, in particolare, quelle riguardanti: (a) l’interpretazione di un trattato; (b) qualsiasi questione di diritto internazionale; (c) l’esistenza di qualsiasi fatto che, se accertato, costituirebbe una violazione di un obbligo internazionale; (d) la natura o la misura della riparazione da effettuare per la violazione di un obbligo internazionale”.
Prima visita in Svizzera del nuovo Premier del Liechtenstein
La mossa del Principato, che nel 2001 non aveva peraltro relazioni diplomatiche né con Praga né con Bratislava in ragione degli antichi dissapori, fu per certi versi giuridicamente azzardata. Era la Germania il suo “nemico” o piuttosto l’ex Cecoslovacchia?
Era giusto domandarselo sulla base del principio del “terzo necessario”, ormai affermato dai tribunali internazionali di ogni specie e rango. La Repubblica Ceca non era infatti parte della Convenzione Europea per la Risoluzione Pacifica delle Controversie, per cui non si poteva dire che avesse acconsentito alla competenza della Corte dell’Aja ai sensi di tale trattato.
Il principio del “terzo necessario” necessario e dirimente?
Nonostante il fatto che l’articolo 32, comma 1, del trattato prevedesse che esso “rimane applicabile tra le parti, anche se uno Stato terzo, che sia o meno parte della Convenzione, ha un interesse nella controversia”, la Corte avrebbe amministrato la regola del “terzo necessario” in modo indipendente per determinare se fosse competente a esaminare la domanda del Liechtenstein.
Il contesto storico della controversia era abbastanza chiaro, al di là dei pronunciamenti che ne sarebbero seguiti. Nel 1946, la Cecoslovacchia confiscò alcune proprietà appartenenti a cittadini di rango del Liechtenstein, tra cui lo stesso principe Franz Josef II, sulla scorta di provvedimenti di legge che autorizzavano l’espropriazione dei “fondi agricoli” (inclusi edifici, installazioni e beni mobili) di “tutte le persone appartenenti al popolo tedesco e ungherese, indipendentemente dalla loro nazionalità”.
L’Europa resta la “seconda patria” degli svizzeri all’estero
Un regime speciale per quanto riguarda i beni tedeschi all’estero e altre proprietà della Germania confiscate in relazione alla Seconda Guerra Mondiale era stato altresì creato con il sesto capitolo della Convenzione sul Regolamento delle questioni derivanti dalla Guerra e dall’Occupazione, firmata nel 1952 a Bonn.
Secondo Vaduz, quest’ultima riguardava soltanto i beni dello Stato tedesco o dei suoi cittadini e, a causa dell’incontestata neutralità del Liechtenstein e dell’assenza di qualsiasi legame tra il Principato e la condotta della guerra da parte del Terzo Reich, essa non si applicasse ai beni liechtesteinesi colpiti da misure degli Alleati.
Sei lustri or sono l’intrigo del quadro di Pieter van Laer
Nel 1991, accadde però che un quadro del maestro olandese Pieter van Laer fu prestato dall’Ufficio dei Monumenti Storici di Brno al Comune di Colonia per essere incluso in una mostra d’arte.
Il dipinto “Szene an einem römischen Kalkofen” (“Una cava di calce romana” in lingua italiana) era stato di proprietà della famiglia dei principi regnanti del Liechtenstein fin dal 1767, ma dal 1946 era nella totale disponibilità e nell’asserita proprietà del Governo cecoslovacco.
La Svizzera e il Liechtenstein in piena sintonia sul futuro
Il principe Hans-Adam II von und zu Liechtenstein, agendo a titolo personale, intentò allora una causa presso i tribunali tedeschi per ottenere la restituzione del quadro come di sua proprietà, ma tale azione fu respinta con la motivazione che, ai sensi dell’articolo 3, capitolo sesto, della predetta Convenzione di Bonn del 1952 (i cui paragrafi 1 e 3 sono ancora in vigore), nessuna rivendicazione o azione in relazione alle misure adottate contro i beni tedeschi all’estero nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata ammissibile nelle sedi dei tribunali germanici.
Il principe sostenne che il quadro non era stato oggetto di misure di espropriazione nell’ex Cecoslovacchia e che in ogni caso tali misure non erano valide o irrilevanti a causa della violazione dell’ordine pubblico della Repubblica Federale di Germania.
Nulla da fare per Hans Adam II a Colonia e Karlsruhe
Anche un reclamo presentato da Sua Maestà alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali di Strasburgo in merito alle decisioni dei giudici di Colonia di prime e di seconde cure (Tribunale e Corte d’Appello) fu respinto tra il 1995 e il 1996, così come a distanza di due e tre anni nel 1998 a Karlsruhe dal Bundesverfassungsgericht, il Tribunale Federale Costituzionale.
La giustizia tedesca si era pertanto totalmente appiattiva su quella cecoslovacca: nel 1951 il Tribunale Amministrativo di Bratislava aveva respinto il ricorso presentato da Francesco Giuseppe II, ritenendolo una persona di nazionalità tedesca, ai sensi della disposizione dell’articolo 1, lettera a, del Decreto 12/1945 in vigore in Boemia, Moravia e Slovacchia.
Alleanza Berna-Berlino sulle App di contrasto al coronavirus
Dopo le udienze pubbliche sulle obiezioni preliminari della Germania nel giugno 2004, la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite emise la propria sentenza il 10 febbraio 2005.
L’Aja iniziò respingendo la prima obiezione preliminare dei tedeschi, i quali sostenevano che la Corte dell’ONU non fosse competente perché non vi era alcuna controversia tra le parti.
Una faccenda risolvere con Repubblica Ceca e Slovacchia
La Corte esaminò poi la seconda obiezione di Berlino, che le chiedeva di decidere, alla luce delle disposizioni dell’articolo 27, lettera a, della Convenzione Europea per la Risoluzione Pacifica delle Controversie, se il contenzioso riguardasse fatti o situazioni verificatesi prima o dopo il 18 febbraio 1980, data di entrata in vigore di tale convenzione tra la Germania e il Liechtenstein.
È patto Svizzera-Liechtenstein sull’innovazione scientifica
I giudici dell’Aja conclusero che, sebbene il procedimento fosse stato avviato dal Liechtenstein in seguito a decisioni di tribunali tedeschi riguardanti un dipinto di Pieter van Laer, i fatti in questione trovassero la loro origine in misure specifiche adottate dalla Cecoslovacchia nel 1945, che portarono al sequestro di beni di proprietà di alcuni cittadini del Principato, tra cui l’allora sovrano Francesco Giuseppe II von und zu Liechtenstein, nonché nel regime speciale creato dalla Convenzione sul Regolamento delle questioni derivanti dalla Guerra e dall’Occupazione, e che la fonte o la causa reale della controversia fosse quindi da ricercarsi in quest’ultima e nei “Decreti Beneš” vigenti in Cecoslovacchia.
La Corte dell’ONU accolse quindi la seconda obiezione preliminare della Germania, con dodici voti favorevoli e quattro contrari, constatando che non poteva pronunciarsi sulle pretese del Liechtenstein nel merito, e con ciò concretamente affermando che la questione avrebbe dovuto essere risolta fra i Governi di Vaduz, Praga e di Bratislava, senza tirare in ballo i tribunali tedeschi…