Non chiedeteci parole: in Italia più non ne abbiamo…
L’evoluzione del linguaggio burocratico del Belpaese non muove verso la semplificazione, ma verso la farsa: un idioma che, ormai, è soltanto un gergo ipocrita
Nel 1525, Pietro Bembo, uno dei più raffinati intellettuali del Rinascimento, licenziava un trattatello in forma di dialogo, destinato ad avere un influsso enorme sulla lingua e sulla letteratura italiana: le “Prose della volgar lingua”.
Sorvoliamo sul fatto che, al giorno d’oggi, più o meno nessuno si scopra a consultare l’agile libretto: sta di fatto che, da allora in poi, il nostro modo di scrivere è cambiato, la nostra lingua si è stabilizzata su di un modello stilistico giocato tra la prosa di Giovanni Boccaccio e la poesia di Francesco Petrarca e il toscano è diventato e rimasto lo stampo con cui dare forma alle nostre espressioni verbali.
Da qualche tempo in qua, però, la lezione del Bembo, così come quella di molti altri suoi epigoni, fino ad arrivare ad Alessandro Manzoni che, in un certo senso, cristallizzò queste scelte, sta subendo importanti e significative modifiche.
Quel politicamente corretto che dell’italiano fa polpette
Nella sua smania di plasmare l’Italia, un certo pensiero, politicamente corretto, sta facendo polpette della nostra lingua, introducendo tutta una serie di forme idiomatiche nuove, di metalinguaggi, di ipotiposi dall’angosciante valenza etica.
Da quando qualche furbacchione ha scoperto che le parole non sono solo pietre, ma possono anche essere carezze, è stato tutto un susseguirsi di accademie d’Arcadia, di pastorellerie, di caramellosa bontà sintattica e semantica, da far venire il diabete a tutti i glottologi dell’universo.
Ed è stato tutto un fiorire di non vedenti, di diversamente abili, di fragilità cognitive.
Tuttavia, credo che la metamorfosi linguistica più interessante e, se me lo concedete, più esilarante e grottesca, è stata proprio quella del linguaggio burocratico della scuola, che, dalle ardite invenzioni morfosintattiche sessantottesche a oggi ha, per così dire, adeguato costantemente il proprio linguaggio a questa “Weltanschauung al glucosio”.
Dagli scolari “bocciati” in caratteri rossi al… Riorientamento
Farò un esempio che valga per tutti. Alla fine di ogni anno scolastico, torme di genitori ansiosi e di alunni preoccupati si sono da sempre assiepate fuori dalle scuole italiane per leggere il proprio destino sui famigerati tabelloni: autentiche liste di proscrizione, su cui l’occhio dei malcapitati scorreva, a scernere la salvezza o la rovina.
Una volta, la temibilissima parola “bocciato” compariva in un bel rosso vermiglione: si stagliava nei neri elenchi di promossi e balzava subito all’occhio.
La logica era quella, probabilmente, di abbreviare la dolorosa ricerca. Lo sapevi e via!
Poi, in quel di viale Trastevere, si devono essere detti che quella perentoria condanna, così in bella vista, evocava davvero Dracone o Silla: adelante Pedro, ma con juicio! Così, si è passati alla formula “Non promosso”, in nero, senza alcuna evidenza.
Ma anche quella dev’essere sembrata una formula troppo avvilente e in odore di ricorsi, di proteste, di semplici malumori.
L’ambigua formula del “non ammesso”, a parità di destino
Dunque, si è optato per un “Non ammesso”, di più basso profilo: la realtà non cambiava, ma il condannato correva perfino il rischio di non capire il suo destino, data l’ambiguità della formula. Aveva il tempo di metabolizzare il lutto, in un certo senso.
È di oggi, invece, l’ultima, caricaturale, versione dell’italica bocciatura: i pochissimi sfortunati che non riescano a essere promossi, in questa scuola che, ormai, è la via di mezzo tra un Luna Park e un ricovero, si vedranno “riorientare”.
Sui tabelloni, insomma, ci sarà scritto “Riorientamento”, che evoca balordoni, spedizioni nel deserto, crociere tropicali: tutto, tranne che una sana, corroborante, bocciatura.
Lo studente ripeterà l’anno e sarà, di fatto, bocciato, esattamente come prima e come sempre.
Ma volete mettere quando, alla fatidica domanda su come è andata a scuola, potrà rispondere fiero: “Riorientato”? Con buona pace di Messer Bembo.