L’insostenibile ed eterna stupidità dell’algoritmo censorio
La censura deriva sempre da una visione paternalistica e offensiva del popolo: dal “Braghettone” a Facebook, i suoi meccanismi sono rimasti sempre gli stessi
Da quando gli uomini si sono dati leggi e forme di governo, due contrapposte visioni della società si sono sempre contrapposte: una è quella che considera i governati come bambini, incapaci di intendere appieno, e li pone sotto la tutela paterna dei governanti.
L’altra, al contrario, ritiene che ogni individuo sia in grado di scegliere le proprie frequentazioni, alleanze, regole civili, assumendosene, va da sé, le responsabilità.
In epoca moderna, uno dei principali strumenti della visione paternalistica della società è diventata la censura: in definitiva, essa rappresenta una sorta di barriera preventiva alla corruzione dei costumi, con la quale viene applicata una tutela nei confronti di un popolo di presunti incapaci, da parte di chi detenga il potere.
Il che potrebbe anche funzionare, se il popolo fosse realmente incapace e chi governa fosse davvero un’entità superiore.
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A contare sono difesa dei privilegi e conservazione del potere?
Poiché, viceversa, molto spesso i governanti sono semplicemente peggiori dei governati, ecco che la censura diviene uno strumento, stupidamente pervicace, di conservazione del potere e di difesa dei privilegi. Quando non, esplicitamente, una forma di pura vessazione del dissenso.
La parola chiave, in ogni caso è ‘stupidità’: la censura è stupida, adotta modalità stupide e, quasi sempre, denuncia la stupidità, sia pure ammantata di astuzia, di chi la concepisca.
Prendiamo l’esempio di certi social network, in cui un implacabile algoritmo scatta a cassare immagini o lemmi che riconducano a temi considerati inaccettabili dagli amministratori: ad esempio i riferimenti al Nazionalsocialismo.
Naturalmente, già pensare che una foto di Hitler o di Degrelle possa indurre un lettore a convertirsi alle bieche dottrine naziste è una stupidaggine, che dimostra in maniera offensiva la scarsa considerazione che questi amministratori nutrono nei confronti dei propri utenti.
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Se il pensiero critico è ostaggio di un interruttore… “on”/”off”
Ma ammettiamo pure che questo tipo di profilassi abbia un senso: affidarla ad un meccanismo matematico, che apra o chiuda un interruttore a comando, senza nessun filtro critico, non è solo quanto di più stupido si possa concepire, ma è anche ferocemente illiberale, drammaticamente primitivo.
Eppure, nel civilissimo mondo occidentale, la censura funziona proprio così: del tutto acriticamente. La pubblicazione di un articolato e illuminante intervento sulla minaccia di rigurgiti fascisti nella società occidentale, qualora corredato da un’iconografia illustrativa che rimandi all’esecrato Ventennio, verrà implacabilmente cassata dall’algoritmo.
Il che, a un dipresso, sarebbe come fare commentare la “Politeia” platonica ad un forno a microonde.
Dunque, non ridiamo delle mutande dipinte dal Braghettone sui nudi michelangioleschi, nel XVI secolo: oggi, la censura lavora anche peggio. E noi ci crediamo liberi.