Il futuro dell’idrogeno mondiale

I progetti sull’idrogeno verde, pur essendo promettenti, sono ancora alle prese con incertezze tecnologiche e geopolitiche, oltre che con vincoli finanziari e preoccupazioni ambientali.

In breve

                      • L’idrogeno verde ha il potenziale per giocare un ruolo importante nella transizione verde
                      • Le sfide tecniche, ambientali o normative potrebbero far deragliare i nuovi progetti
                      • Gli attori globali come l’UE, la Cina e gli Stati Uniti differiscono nelle loro strategie di sviluppo
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L’idrogeno pulito ha il potenziale per contribuire a ridurre le emissioni di carbonio, soprattutto in settori difficili da decarbonizzare, come l’industria manifatturiera pesante e le industrie ad alta intensità energetica come l’acciaio o i prodotti chimici. Sta inoltre emergendo come soluzione chiave per l’immagazzinamento dell’elettricità, affrontando i problemi di intermittenza dell’energia eolica e solare. Attualmente, tuttavia, il suo uso principale è quello della raffinazione tradizionale e delle applicazioni industriali. Viene prodotto per lo più con combustibili fossili e non offre benefici reali e sostenibili per il clima.

Il potenziale dell’idrogeno come fonte di energia pulita

Nel 2021, la domanda globale di idrogeno era di 94 milioni di tonnellate, pari a circa il 2,5% del consumo energetico mondiale. Nel 2022 l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) ha previsto che questa domanda sarebbe cresciuta a soli 115 milioni di tonnellate entro il 2030, con meno di 2 milioni di tonnellate provenienti da nuove applicazioni. Tuttavia, entro il 2050, il mercato globale dell’idrogeno potrebbe subire un’impennata, raggiungendo i 600-650 milioni di tonnellate e soddisfacendo potenzialmente oltre il 20% del fabbisogno energetico mondiale.

Entro il 2030, sia la domanda che la produzione di idrogeno sono destinate a crescere moderatamente, compensando potenzialmente il consumo di 14 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, 20 milioni di tonnellate di carbone e 360.000 barili di petrolio al giorno. Circa 12 milioni di tonnellate di idrogeno potrebbero essere esportate ogni anno. Per raggiungere una produzione di idrogeno pulito di 30 milioni di tonnellate, rispetto al dato odierno di meno di 1 milione di tonnellate, è necessario un investimento di 170 miliardi di dollari in elettrolizzatori e progetti di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio (CCUS).

Già nel 2020, chi scrive aveva evidenziato i rischi di considerare l’idrogeno come una panacea immediata, a causa dell’attuale inefficienza dell’elettrolisi e del processo ad alta intensità energetica di conversione dell’idrogeno in carburanti sintetici. La produzione di idrogeno comporta una perdita di energia del 45-60% nella catena di approvvigionamento. La conversione dell’elettricità in idrogeno comporta una perdita energetica del 25% e l’energia contenuta nell’idrogeno è circa il 60% meno efficiente rispetto al gas naturale liquefatto a causa della sua minore densità energetica.

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Strategie nazionali e regionali per l’idrogeno

Entro il 2020, sia la Germania che l’Unione Europea hanno riconosciuto che le loro strategie sull’idrogeno avrebbero richiesto importazioni significative. Nel 2022, l’UE ha raddoppiato l’obiettivo di produzione di idrogeno rinnovabile da 5 a 10 milioni di tonnellate e prevede di importare altri 10 milioni di tonnellate entro il 2030. L’importazione di questa quantità richiede quasi 500 terawattora di elettricità rinnovabile, pari al 14% dell’intero consumo di elettricità dell’UE.

Oltre all’Europa, nazioni come il Giappone e l’Australia, nell’ambito del progetto Hydrogen Energy Supply Chain (HESC), hanno mostrato preferenze non solo per l’idrogeno verde – derivato da fonti rinnovabili e dall’elettrolisi – ma anche per l’idrogeno blu “pulito” che incorpora la CCUS. La fattibilità commerciale e l’idoneità di questi progetti, dati i costi di spedizione più elevati, rimane tuttavia per il momento poco chiara.

I gasdotti esistenti sono in grado di gestire l’idrogeno?

Le ricerche dell’industria europea del gas indicano che le attuali reti di gasdotti possono essere ampiamente riutilizzate per il trasporto dell’idrogeno. L’utilizzo dei gasdotti esistenti può ridurre i costi di investimento del 50-80% rispetto alla costruzione di nuovi gasdotti. Entro il 2040, l’Europa prevede di disporre di circa 39.700 km di infrastrutture estese per il trasporto dell’idrogeno, che collegheranno le aree di produzione economicamente vantaggiose con le destinazioni di esportazione.

Inoltre, un consorzio di imprese del gas di Germania, Austria e Italia sta progettando un idrogenodotto di 3.300 chilometri che collegherà il Nord Africa all’Italia, all’Austria e alla Germania. Spagna e Francia stanno studiando il progetto H2Med, un gasdotto sottomarino che attraversa le loro nazioni e che dovrebbe trasportare l’idrogeno dalla Spagna alla Francia attraverso il Mar Mediterraneo.

Un recente studio tedesco ha valutato oltre 30 acciai e ha rilevato che le loro prestazioni nel trasporto dell’idrogeno in condizioni operative standard nelle reti di distribuzione del gas non differiscono da quelle del gas naturale. Un rapporto di miscelazione del 20% di idrogeno potrebbe comportare una riduzione del 6% delle emissioni di CO2.

Tuttavia, un recente studio statunitense, che si è occupato della miscelazione dell’idrogeno con il gas naturale e ha preso in considerazione diversi fattori materiali, economici e operativi, consiglia cautela. Ha indicato le potenziali insidie, notando che l’idrogeno può facilmente permeare i metalli solidi, rendendo l’acciaio delle condutture più incline alla fessurazione.

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Sfide nel trasporto dell’idrogeno liquido

Quando si parla di trasporto di combustibili a basse emissioni di carbonio, l’idrogeno può essere trasportato come idrogeno liquido (LH2), ammoniaca (NH3) o come vettore di idrogeno organico liquido (LOHC) su distanze diverse. McKinsey stima che dei previsti 660 milioni di tonnellate necessari entro il 2050 per raggiungere gli obiettivi climatici dell’UE, 400 milioni di tonnellate richiederanno il trasporto su lunghe distanze. Per percorsi superiori a 2.000-2.500 chilometri, il trasporto marittimo emerge come la scelta più conveniente.

Rispetto al gas naturale, l’idrogeno liquido è più facile da stoccare ma presenta maggiori sfide tecnologiche, tra cui la necessità di mantenere una temperatura di -253 gradi Celsius per evitare il boil-off, una temperatura notevolmente più fredda rispetto ai -162 gradi Celsius del GNL. Il trasporto su grandi distanze può comportare una perdita di energia superiore al 30% e in alcuni casi – ad esempio su una rotta di 9.000 chilometri – fino al 40% potrebbe andare perso a causa del boil-off e dell’utilizzo di carburante per la propulsione, una cifra quasi nove volte superiore a quella del trasporto con GNL.

Ulteriori perdite di energia, pari a circa il 5%, si verificano durante la consegna e la rigassificazione presso i terminali di importazione dell’idrogeno. Paesi come il Giappone, l’Australia e l’Arabia Saudita stanno puntando molto sull’ammoniaca come combustibile più pratico a basse emissioni di carbonio, grazie ai suoi requisiti di raffreddamento più blandi (-33 gradi Celsius) e alle opzioni di trasporto esistenti. Il Giappone sta promuovendo nei Paesi del Sud-Est asiatico il passaggio dal carbone all’ammoniaca per ridurre le emissioni di carbonio senza chiudere gli impianti a carbone esistenti. Tuttavia, i costi elevati che comporta una consistente co-combustione di ammoniaca ne limitano l’attuale fattibilità.

Chemistry Molecules Hydrogen Image by Gerd Altmann from Pixabay
Chemistry Molecules Hydrogen Image by Gerd Altmann from Pixabay

Vincoli finanziari e strategie di investimento

Lo sviluppo dell’idrogeno verde richiede l’ampliamento degli impianti solari ed eolici per il processo di produzione dell’idrogeno elettrolitico, con spese ingenti. Ad esempio, l’adeguamento di un terminale GNL per la gestione dell’ammoniaca richiede un investimento superiore dell’11-20% rispetto alla costruzione di un nuovo terminale, mentre un serbatoio di stoccaggio dell’idrogeno può costare il 50% in più rispetto alla sua controparte GNL.

In Africa, dove la maggior parte delle imprese energetiche locali sono finanziariamente vincolate, sono fondamentali ingenti investimenti stranieri. L’Africa Green Hydrogen Alliance, che coinvolge Paesi come l’Egitto e il Sudafrica, ha bisogno di 450-900 miliardi di dollari per progetti sull’idrogeno entro il 2050. Le incertezze tecnologiche hanno reso diffidenti gli investitori, anche se recenti iniziative come i nuovi crediti d’imposta del governo degli Stati Uniti per i progetti di idrogeno pulito e la “banca dell’idrogeno” proposta dalla Commissione europea cercano di favorire la fiducia degli investitori e promuovere lo sviluppo dell’idrogeno.

Problemi di scarsità d’acqua

Nell’UE, regioni soleggiate come la Spagna e l’Italia sono ottimali per la produzione di idrogeno verde, così come il Nord Africa. L’UE ha esteso la sua “partnership paritaria” per l’idrogeno a Paesi dell’Africa e del Sud America. Cerca di diversificare le sue future importazioni di idrogeno per evitare nuove dipendenze geopolitiche, per rispettare gli interessi di decarbonizzazione dei Paesi partner e per evitare errori coloniali – in contrasto con la “presa di risorse neocoloniali” della Cina. Tuttavia, la produzione su larga scala di idrogeno verde potrebbe aggravare gli attuali problemi di scarsità d’acqua in Africa e in Medio Oriente, danneggiando potenzialmente la produzione agricola, soprattutto nelle aree senza sbocco sul mare.

Gli Stati costieri stanno integrando gli impianti di desalinizzazione nei loro progetti di idrogeno, ma si tratta di impianti costosi e ad alta intensità energetica, che potrebbero causare ulteriori problemi ambientali nelle acque vicine. Attualmente, oltre il 70% dei progetti di idrogeno verde pianificati sono situati in regioni soggette a stress idrico, tra cui gli Stati Uniti (33 progetti di hub di idrogeno pianificati), il Medio Oriente e l’Africa, il che rappresenta una sfida critica per la produzione sostenibile di idrogeno.

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Scenari

Sviluppi tecnologici

Negli ultimi anni, i progressi tecnologici hanno reso più economica la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione dell’idrogeno. Secondo alcune previsioni, l’idrogeno pulito potrebbe soddisfare quasi un quarto del fabbisogno energetico mondiale entro il 2050. Entro il 2030, l’idrogeno verde dovrebbe essere alla pari, in termini di costi, con l’idrogeno blu, con un potenziale crollo dei costi del 60% rispetto ai dati del 2020. La capacità installata di elettrolizzatori, stimata tra 134 e 240 GW entro il 2030, sarà fondamentale per promuovere catene di approvvigionamento estese dopo il 2030.

I segnali di questa rivoluzione verde sono già evidenti. Ad esempio, la prima spedizione di idrogeno liquido è stata consegnata dall’Australia al Giappone all’inizio del 2022. Le innovazioni nel settore dell’aviazione suggeriscono che entro il 2025-2026 potrebbero emergere aerei riadattati all’idrogeno, con motori alimentati direttamente dall’idrogeno.

In Australia è stata sviluppata un’innovativa tecnica di elettrolisi che potrebbe aumentare l’efficienza dal 75% all’incredibile 95%. Questo potrebbe rendere l’idrogeno verde economicamente competitivo con l’idrogeno blu prima delle proiezioni del 2030. I primi segnali indicano che una giga-fabbrica di elettrolisi potrebbe entrare in funzione entro il 2025, indicando il calo dei prezzi della capacità di elettrolisi.

La strategia della Cina

Mentre l’UE, il Giappone, l’Australia e gli Stati Uniti stanno spingendo in modo ambizioso verso l’idrogeno, le previsioni della Cina per lo sviluppo dell’idrogeno sembrano più misurate, diversificando le opzioni energetiche. Le proiezioni future di Pechino indicano un 5% di idrogeno entro il 2030, che salirà al 10% entro il 2050 del consumo energetico complessivo. Entro il 2035, prevede di avere un’industria energetica dell’idrogeno completa. Entro il 2030, la Cina prevede di triplicare le proprie capacità di energia solare ed eolica, raggiungendo i 3,3 terawattora, che già oggi rappresentano il 30% della capacità solare installata a livello mondiale, grazie a riduzioni strategiche dei costi e a sussidi.

Sebbene si preveda che l’evoluzione dell’idrogeno in Cina crescerà in modo incrementale di circa l’11-20% entro la fine di questo decennio, il suo ritmo potrebbe accelerare negli anni 2030, arrivando potenzialmente a 90 milioni di tonnellate entro il 2060 per allinearsi all’ambizione di emissioni nette a zero. A differenza dell’UE, l’approccio prospettico della Cina abbraccia una miscela pragmatica di progetti sull’idrogeno, sfruttando le sue riserve di carbone con il CCUS. Con il controllo di materie prime fondamentali per l’elettrolisi, come il nichel e i metalli del gruppo del platino, la posizione della Cina potrebbe influenzare le dipendenze globali, legandole più strettamente ai suoi obiettivi economici e politici.

Ostacoli normativi

L’entusiasmo globale per l’idrogeno è palpabile, ma in queste proiezioni i governi e le industrie potrebbero propendere per una prospettiva più temperata. Molte iniziative europee sull’idrogeno rimangono incerte a causa di normative poco chiare e di standard diversi in tutta Europa. La mancanza di standardizzazione a livello mondiale potrebbe rappresentare un ostacolo per il commercio internazionale dell’idrogeno. L’AIE consiglia ai governi di concentrarsi su processi standardizzati per evitare la frammentazione del mercato e accelerare la decarbonizzazione industriale. Attualmente, solo il 4% dei progetti a idrogeno a basse emissioni annunciati a livello mondiale è stato messo in funzione o ha ricevuto l’approvazione finale degli investimenti, il che evidenzia questi ostacoli.

Autore: Frank Umbach – Professor, researcher, consultant, European government advisor and prolific author, with expertise in energy security and cybersecurity

Fonte:

The future of global hydrogen