Così l’emergenza in Italia è diventata una perenne normalità
Nella Penisola, le misure eccezionali paiono assumere sempre più la natura di quotidianità, tanto che ci si abitua a (soprav)vivere in un “eterno imprevisto”
L’Italia è il Paese della pizza, del mandolino e, a quanto pare, dell’emergenza. Qualunque fenomeno storico, qualunque situazione politica, qualunque fase critica, per gli Italiani assume carattere di momento di emergenza e, come tale, viene descritto e affrontato.
È un modo di operare che, forse, deriva dalla sensazione di precarietà che, per secoli, ha caratterizzato gli abitanti della Penisola: oppure è il frutto di un modo tutto italiano di demandare sempre ad altri il proprio futuro, tanto da finire col non pianificarlo né preoccuparsene. Fatto sta che l’Italia si regge sulle emergenze.
Passi l’emergenza sanitaria, che è ancora in corso e non ci permette giudizi storici. Però, in molti altri campi della vita nazionale possiamo notare come da un’emergenza si sia passati a una prassi, con un meccanismo lento ma implacabile.
Un secolo e mezzo di incorreggibile “questione meridionale”
Quando il vero problema non è il “quanto” bensì il “perché”
Quell’abuso dei “Decreti Leggi” per paura di Esecutivi forti
Prendiamo l’annosa questione dell’ingovernabilità italiana: per paura di un Esecutivo troppo forte, nel 1948, la Costituzione lo previde troppo debole e paralizzato da un iter legislativo lungo e complicato.
La soluzione, all’italiana, fu quella di usare il Decreto Legge, ovvero uno strumento nato per casi di necessità e urgenza, come normale procedimento legislativo: un’operazione tanto sagace quanto anticostituzionale. Ma nessuno ci ha trovato da ridire, visto che, prima o poi, sarebbe toccato a tutti di governare.
Se vogliamo scegliere, invece, un esempio più vicino a noi nel tempo, basta citare la scarcerazione di Giovanni Brusca.
Dopo venticinque anni, il boss mafioso è uscito di galera, nonostante più di centotrenta omicidi confessati, in virtù di una legge premiale per i pentiti che avessero sensibilmente aiutato la giustizia nella lotta alla mafia: una legge analoga a quella che permise, a suo tempo, di sconfiggere il terrorismo.
Oggi, un sacco di gente si strappa i capelli e abbaia contro la palese ingiustizia del provvedimento: e la cosa si spiega, stante la ferocia e il livello criminale del mafioso.
Non chiedeteci parole: in Italia più non ne abbiamo…
Centosessant’anni di Italia, nemmeno uno di federalismo…
Una norma voluta sì da Falcone, ma “l’emergenza” c’è ancora?
Però, ci si scorda che quella legge fu voluta da Giovanni Falcone, poi ucciso dallo stesso Brusca e rappresentò una sorta di patto scellerato, tra Stato e Antistato, stipulato in una situazione di assoluta emergenza.
Situazione che non c’è più: tuttavia, la legge è rimasta, è divenuta prassi e permette che gente come l’omicida del celebre magistrato ne usufruisca.
“Pacta sunt servanda”, ma fino a un certo punto. E così è per il dissesto idrogeologico come per l’economia, per la scuola come per la sicurezza sul lavoro: tutte emergenze che durano da decenni, inossidabili, immarcescibili.
La sensazione, per un Italiano un po’ meno mandolinaro della media nazionale, è quella di ballare perennemente sull’orlo del cratere di un vulcano.
Mi viene in mente un amaro commento di Andrea Pazienza all’apoftegma pertiniano: “gli Italiani sono un popolo eccezionale”! E il “Paz” replicava: “A me basterebbe che fossero un popolo normale!”.
E se fosse il Calcio il più attendibile marcatore sociale?
Anche un’idea sbagliata di Stato può generare gli olocausti