E se fosse il Calcio il più attendibile marcatore sociale?
In Italia, le partite di Football determinano nella gente pittoreschi e pericolosi fenomeni sociopatologici, che sono facilmente misurabili sui social network
“Italians lose wars as if they were football matches, and football matches as if they were wars”: così e non altramente, Sir Winston Churchill commentava uno dei caratteri peculiari del popolo italiano: nelle grandi sconfitte militari, esso dimostra una capacità di assorbimento formidabile, mentre una partita di Calcio dall’esito negativo, spesso, si trasforma in catastrofe.
Tutto ciò denuncia, purtroppo, un’insoluta immaturità degli Italiani: una preoccupante incapacità di preoccuparsi quando è il caso di farlo.
Un secolo e mezzo di incorreggibile “questione meridionale”
Un Paese nei guai senza che nessuno se ne accorga?
Prova ne sia che, in questi tempi plumbei, di malattia e di disagio economico, la maggior parte di loro si comporta come se nulla fosse: come se non incombesse sulla Penisola un disastro occupazionale ed economico senza precedenti.
È come se tutti gli Italiani, dalla val Pusteria a capo Spartivento, interpretassero una pièce di De Filippo: come se Napoli fosse ovunque, con il suo divertente fatalismo e la sua drammatica inconsistenza.
Ma non è su questo che verte il mio intervento di questa settimana, sibbene sul rovescio della medaglia: sull’altro aspetto della faccenda. Ovvero il football.
Io sono Bergamasco e, un po’ perché la mia città non è particolarmente versata in sceneggiate, un po’ perché non sono punto appassionato di calcio, ho sempre vissuto le vicissitudini dell’Atalanta con un certo distacco. Naturalmente, è la squadra del mio cuore: se vince mi rallegro e se perde me ne dolgo.
Tuttavia, confesso di non avere mai provato palpiti particolari per i destini orobici in materia di pallone: tra l’altro, pratico il tennis e lo sci, che sono sport in cui un certo aplomb è d’obbligo.
Questa volta, però, è stato un po’ diverso: l’Atalanta, squadra poverella e sparagnina, sempre in bilico tra la serie A e la serie B, da qualche anno sta recitando un ruolo di primo piano nel campionato nazionale e nelle Coppe Europee.
Non chiedeteci parole: in Italia più non ne abbiamo…
Così, il mio disinteresse è diminuito e, l’altro giorno, quando i nerazzurri sono scesi in campo contro la blasonatissima Juventus nella finale di Coppa Italia, mi sentivo abbastanza euforico.
Poi, la partita è andata come è andata e, per la prima volta in vita mia, ho scritto su Facebook un post in cui lamentavo, nemmeno troppo acidamente, l’evidente apporto arbitrale alla vittoria dei bianconeri.
Premetto che scrivo post ogni giorno, sui temi più vari, dalla politica alla storia, dal costume alla letteratura, spesso tranciando giudizi molto secchi e sardonici, senza avere mai avuto il minimo problema.
L’insostenibile ed eterna stupidità dell’algoritmo censorio
Un post su Facebook quale calamita di legioni di imbecilli
Questa volta, invece, ho assistito a una vera sagra del tifoso: una legione di imbecilli, a me del tutto sconosciuti, si è prodotta in commenti da lasciare allibito un portuale di Amburgo.
Uno in particolare, irrintracciabile, dato che, dopo i commenti si è dato alla fuga telematica, si è intrufolato nel mio post, mi ha insultato in modo affatto gratuito, ed è, come detto, sparito. Così, gratis et amore Dei.
Orbene, scelgo lui come eponimo di questo malvezzo tutto italiano (anzi, no, per la verità lo condividiamo con qualche Paese del Terzo Mondo): questo signor “Oswaldo de Tocqueville” rappresenta la metafora di un popolo che non riesce a smettere di essere plebe.
Anche un’idea sbagliata di Stato può generare gli olocausti
Drammatica carrellata di olocausti del Novecento europeo
Nel DNA l’incapacità di distinguere “panem” e “circenses”
Un popolo che non ha ancora imparato a distinguere tra vita vera e giochi del circo e che infonde la propria rabbia frustrata in ogni sua azione. Magari, nel mondo reale, questo signore si rivelerebbe un mite subalterno: un innocuo travetto.
Ma, nell’anonimato e nella furia calcistica, insulta, offende, aggredisce chiunque gli si pari davanti. Compreso uno come me: che non vorrebbe il caro Oswaldo neppure come conciatetti e che, calcisticamente parlando, non ce l’ha con nessuno.
Ecco, in Italia, il visconte parigino, antesignano della sociologia, diventa un avatar dietro cui si cela un personaggio del genere. Come si diceva all’inizio, gli Italiani non prendono nulla sul serio: neppure Tocqueville. Tranne, naturalmente, il football. Hélas!
Centosessant’anni di Italia, nemmeno uno di federalismo…