Banche contro fintech: la battaglia per i dati dei clienti

Le nuove commissioni di JPMorgan per l’accesso ai dati minacciano le fintech, con potenziali aumenti di costo per gli utenti e alimentando il dibattito su chi possieda davvero i dati finanziari.

In breve

                    • JPMorgan Chase farà pagare le fintech per l’accesso ai dati dei clienti

                    • Le fintech sostengono che le commissioni siano un tentativo di soffocare la concorrenza e l’innovazione

                    • Le banche affermano di meritare un compenso per gli investimenti in infrastrutture di dati
Banks vs. Fintech Image by OpenAI (ChatGPT)
Banks vs. Fintech Image by OpenAI (ChatGPT)

A luglio, JPMorgan Chase ha annunciato la sua decisione di iniziare a imporre commissioni alle società fintech per l’accesso ai dati dei conti bancari dei clienti. Il più grande istituto di credito degli Stati Uniti ha inviato ai data aggregator (intermediari che collegano banche e piattaforme fintech) dei listini prezzi, dettagliando nuove tariffe che variano in base all’utilizzo. Le startup focalizzate sui pagamenti probabilmente incorreranno in costi più elevati, portando a una perturbazione del modello di business delle app di pagamento che dipendono dall’accesso gratuito ai dati finanziari dei clienti per elaborare le transazioni.

La mossa segna un cambiamento cruciale nell’ecosistema dei servizi finanziari, destinato a guidare una diffusa ricalibrazione nel modo in cui operano le aziende che dipendono dalle banche tradizionali. Far pagare i data aggregator (intermediari che raccolgono e ridistribuiscono i dati finanziari dei clienti, facendo da ponte tra banche e app/servizi fintech) come Plaid, MX e Finicity per l’accesso ai dati dei clienti potrebbe rimodellare le dinamiche tra banche tradizionali e società fintech, e non è ancora chiaro se e in che misura i costi aggiuntivi verranno trasferiti ai clienti finali.

Molti osservatori del settore vedono questa come la prima mossa di JPMorgan, con altre banche convenzionali che probabilmente seguiranno, in quello che è stato descritto come un tentativo di sopprimere la concorrenza fintech. Questo cambiamento evidenzia anche la tensione alla base di un dibattito molto più ampio sulla proprietà dei dati. Le banche hanno a lungo sostenuto che i dati dei clienti siano un bene proprietario, mentre le fintech e i sostenitori della privacy ribattono che i consumatori dovrebbero avere libero accesso alle proprie informazioni finanziarie.

Una preziosa merce digitale su cui vale la pena combattere

La maggior parte delle persone non è consapevole dell’entità della raccolta e condivisione dei dati attualmente in corso nei servizi bancari e di pagamento online. Poiché la maggior parte di noi non legge i termini e condizioni o le “note in piccolo” quando apre un conto o si registra a un fornitore di servizi finanziari online, la quantità e la qualità delle informazioni personali che condividiamo inconsapevolmente sono aumentate in modo drammatico negli ultimi anni.

Ad esempio, quando colleghi il tuo conto bancario a PayPal, la piattaforma non ottiene semplicemente l’accesso a dettagli di base come il tuo nome o il saldo del conto, che è ciò che la maggior parte degli utenti presumerebbe sia tutto ciò che serve. In realtà, può anche accedere all’intera cronologia delle transazioni, inclusi i luoghi in cui fai acquisti, cosa compri e con quale frequenza.

Analogamente impressionanti sono le implicazioni per la privacy quando si utilizzano app di budgeting come Mint. Quando collegate al tuo conto bancario, queste app ottengono accesso a dati sulle tue abitudini di spesa, sul reddito e sugli investimenti. In quest’ottica, non è difficile capire quanto siano preziose tali informazioni per le società fintech, soprattutto poiché molte di esse hanno costruito i loro modelli di business interamente su questi dati.

Le fintech hanno storicamente fatto affidamento su un accesso gratuito o a bassissimo costo ai dati dei clienti per supportare servizi come app di budgeting, piattaforme di pagamento peer-to-peer e vari strumenti di investimento. Esse ottengono queste informazioni dai data aggregator – gli intermediari tra loro e le banche – che guadagnano sviluppando software per connettere entrambe le parti e facendo pagare le fintech per il servizio.

Fino all’annuncio inaspettato di JPMorgan, gli aggregator ricevevano tutti i dati gratuitamente. Ci si aspettava che la situazione rimanesse tale perché una regola del Consumer Financial Protection Bureau (CFPB), finalizzata sotto l’ex presidente degli Stati Uniti Joe Biden e destinata a entrare in vigore nel 2026, proibiva alle banche di far pagare per i dati dei clienti.

Tuttavia, a maggio, l’amministrazione del presidente Donald Trump ha eliminato quella regola, aprendo nuove possibilità per JPMorgan e i suoi pari di cambiare il modo in cui gestiscono le informazioni dei propri clienti. Poco dopo, JPMorgan ha inviato i primi listini prezzi ai data aggregator, e i numeri hanno scioccato il settore. I costi sono particolarmente alti per i trasferimenti di dati legati ai pagamenti, il che potrebbe richiedere all’aggregator leader Plaid di sostenere circa 300 milioni di dollari l’anno in nuove commissioni. Questa cifra rappresenta oltre il 75% dei ricavi di Plaid per il 2024.

La mossa ha scatenato l’indignazione delle società fintech e degli aggregator, che affermano sia un tentativo palese di eliminare la concorrenza del settore nascente, imporre una tassa esorbitante sull’innovazione fintech e recentralizzare il potere nell’industria bancaria. Steve Boms, direttore esecutivo della Financial Data and Technology Association, un’associazione di categoria che rappresenta circa 30 aggregator e società fintech, ha dichiarato:

“Per tutte le aziende che hanno ricevuto gli avvisi, il costo per accedere ai dati di Chase (cioè i dati finanziari dei clienti della banca JPMorgan Chase) si aggira tra il 60% e in alcuni casi ben oltre il 100% dei loro ricavi annuali. Solo da una banca.”

JPMorgan ha difeso la sua decisione sostenendo che le banche hanno speso milioni di dollari nello sviluppo e nella manutenzione dell’infrastruttura che facilita la raccolta e l’accesso sicuro ai dati dei clienti; pertanto, non è ragionevole aspettarsi che tali dati vengano forniti gratuitamente.

Criptovalute in aumento: Implicazioni normative e politiche

Implicazioni più ampie

Di certo, il dibattito sui dati – su chi possiede cosa e chi può far pagare per queste informazioni così sensibili ed estremamente preziose – è significativo di per sé. Ruota attorno a una questione davvero fondamentale che deve ancora essere risolta in modo definitivo, e la risposta avrà immense conseguenze man mano che completiamo la transizione verso l’era della banca digitale.

JPMorgan è giustificata, e la sua decisione di addebitare commissioni per l’accesso ai dati dei clienti è paragonabile a quella di un’azienda di costruzioni stradali che impone pedaggi sulle stesse strade che ha costruito? Oppure il singolo cliente è il proprietario assoluto e legittimo dei propri dati, e dovrebbe essere solo lui ad avere l’ultima parola su cosa condividere e con chi? Qualunque sia la posizione in questo dibattito, le implicazioni del fatto di far pagare per queste informazioni rimangono le stesse.

Scenari

Molto probabile: le fintech più piccole rischiano la chiusura a causa dei costi in aumento

In questo scenario, le startup fintech più piccole verrebbero sopraffatte dai nuovi e onerosi costi e presto fallirebbero, il che a sua volta soffocherebbe l’innovazione e centralizzerebbe il potere di mercato tra le aziende più grandi e consolidate in questo settore emergente. Anche le aziende più grandi probabilmente dovranno trasferire almeno parzialmente i costi aggiuntivi ai loro utenti.

Ciò potrebbe comportare costi di abbonamento o commissioni sulle transazioni più elevati e, a seconda dell’entità dell’aumento, potrebbe annullare la maggior parte dei benefici che il settore fintech ha fornito sin dal suo inizio. Aziende come Robinhood, per esempio, hanno democratizzato con successo l’accesso agli investimenti, mentre varie app di pagamento online hanno fornito servizi finanziari a basso costo o gratuiti a innumerevoli persone non bancarizzate o sotto-bancarizzate. Se le tariffe diventassero proibitive per i clienti a basso reddito, tutto quell’accesso potrebbe essere revocato, aggravando le disuguaglianze economiche.

Probabile: le fintech cercano nuove fonti di reddito

Un altro possibile esito è che le fintech interessate potrebbero compensare i costi extra trovando flussi di ricavi alternativi. Per esempio, potrebbero diventare più aggressive nella monetizzazione dei dati, non concentrandosi solo sui costi sostenuti per accedere alle informazioni delle banche, ma anche sfruttando le informazioni raccolte dai clienti che interagiscono sulle loro piattaforme. La vendita di questi dati agli inserzionisti potrebbe diventare una parte molto più centrale dei loro modelli di business, portando potenzialmente a una condivisione massiccia di informazioni che eroderebbe e eliminerebbe drasticamente qualsiasi privacy residua dei consumatori.

Autore: Vahan P. Roth – executive board member of Swissgrams AG

Fonte: https://www.gisreportsonline.com/r/customer-data/

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