Il ruolo del rame nel morbo di Parkinson
L’esposizione al rame nell’ambiente e la proteina alfa-sinucleina nel cervello umano potrebbero svolgere un ruolo importante nella patogenesi del morbo di Parkinson: i risultati degli studi dei ricercatori potrebbero aiutare a sviluppare nuove strategie per il trattamento delle malattie neurodegenerative.

Molto prima della comparsa del tipico tremore muscolare, la comparsa di proteine difettose nel cervello potrebbe essere un primo segnale del morbo di Parkinson anche se, le cause, non sono ancora del tutto note. I ricercatori dell’Empa e dell’Università di Limerick in Irlanda hanno ora analizzato più da vicino la forma anomala di queste alfa-sinucleine sotto forma di anelli proteici cosicchè, sono stati anche in grado di visualizzare su scala nanometrica il legame con l’inquinamento ambientale da rame. Questo getta nuova luce sullo sviluppo della malattia neurodegenerativa e sul ruolo dei biometalli nel processo patologico. Inoltre, i risultati potrebbero fornire opportunità per migliorare la diagnosi precoce e la terapia della malattia.
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Metallo sospetto
Ciò che si sa della malattia di Parkinson è che i neuroni del cervello muoiono, causando una carenza del neurotrasmettitore dopamina. Nelle fasi più avanzate della malattia, questo porta a tremori muscolari, rigidità muscolare e persino immobilità. Questa malattia, lentamente progressiva, è la seconda malattia neurodegenerativa più comune al mondo dopo il morbo di Alzheimer. Fattori ambientali come pesticidi o metalli potrebbero favorire l’insorgenza del Parkinson. L’équipe guidata dal ricercatore dell’Empa Peter Nirmalraj del laboratorio Transport at Nanoscale Interfaces sta studiando questa ipotesi utilizzando tecniche di imaging e spettroscopia chimica e, in collaborazione con il team di Damien Thompson dell’Università di Limerick, simulazioni al computer. I ricercatori stanno prendendo di mira una proteina coinvolta in diversi processi molecolari nello sviluppo del Parkinson: l’alfa-sinucleina. Nei soggetti colpiti, questa proteina endogena si aggrega e provoca la morte delle cellule nervose. I ricercatori sospettano che il rame in alte concentrazioni interferisca con questi processi e acceleri il processo della malattia.

Gli anelli del diavolo
Per visualizzare l’aggregazione dell’alfa-sinucleina su scala nanometrica, la ricercatrice dell’Empa Silvia Campioni del laboratorio Cellulose & Wood Materials ha prodotto artificialmente la proteina. Utilizzando la microscopia a forza atomica, i ricercatori hanno poi potuto osservare la proteina, inizialmente in soluzione, per un periodo di dieci giorni, mentre formava singole strutture filamentose insolubili prima di raggrupparsi infine in una fitta rete di fibrille. Sulla base delle immagini, la trasformazione della proteina solubile in fibre agglomerate di circa 1 micrometro di lunghezza, così come avviene durante la progressione della malattia, può essere osservata con impressionante precisione in laboratorio. Se poi i ricercatori hanno aggiunto ioni di rame alla soluzione proteica, al microscopio sono apparse strutture completamente diverse: Strutture proteiche ad anello di circa 7 nanometri, i cosiddetti oligomeri, sono comparsi nella provetta nel giro di poche ore. L’esistenza di tali oligomeri ad anello e il loro effetto dannoso per le cellule sono già noti. Inoltre, le strutture più lunghe simili a fibre sono apparse prima rispetto a una soluzione priva di rame. “Da un lato, dosi elevate di rame sembrano accelerare il processo di aggregazione”, afferma Peter Nirmalraj. Inoltre, però, questa insolita struttura proteica a forma di anello si sviluppa in tempi relativamente brevi sotto l’influenza del rame, il che potrebbe segnare l’inizio del processo patologico o addirittura innescarlo. I ricercatori hanno anche analizzato il legame degli ioni di rame con l’alfa-sinucleina utilizzando simulazioni computerizzate di dinamica molecolare in piccoli passi da 10 a 100 nanosecondi.
Prima sperimentazione
Poiché gli anelli di oligomeri si formano all’inizio della trasformazione della proteina, gli anelli potrebbero essere usati come bersaglio per nuove forme di terapia, spera Nirmalraj. Inoltre, i risultati potrebbero contribuire allo sviluppo di un test per il Parkinson in grado di rilevare la malattia in una fase precoce nei fluidi corporei, ad esempio utilizzando campioni di liquido spinale.
Il morbo di Parkinson in breve
La malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa cronica progressiva (morte di cellule nervose) che presenta problemi alla mobilità del corpo, con rallentamento dei movimenti, rigidità muscolare e tremori.
Questa è una delle malattie neurodegenerative più frequenti con circa 10 milioni di malati al mondo, la maggior parte dei “parkinsoniani” ha più di 60 anni al momento della diagnosi e gli uomini sono più colpiti delle donne.
Descritta per la prima volta nel 1817 dal medico inglese James Parkinson (da cui il nome della malattia), e benché da allora la ricerca intraprenda grandi sforzi per chiarirne l‘origine, le cause esatte del Parkinson restano ancora sconosciute. Le attuali terapie permettono di alleviare i sintomi, ma non è possibile frenare o arrestare la progressione della malattia.
Fonte: EMPA